A Trento Manuel Agnelli: fra passato, futuro e presente del rock italiano
Parla il celebre musicista che sarà protagonista, sabato 24 maggio al teatro Sociale con "Suoni dal futuro" nell'ambito del Festival dell'economia. "Il titolo della serata si riferisce alla generazione dei ragazzi tra i 15 e i 30 anni che penso cambieranno il mondo della musica perché hanno una forza espressiva che non sentivo da anni"
TRENTO - Con gli Afterhours ha segnato la scena rock italiana degli ultimi trent’anni ma si è fatto conoscere dal grande pubblico catodico nei panni di giudice del talent X Factor senza dimenticare il successo del programma “Leoni per Agnelli” su Radio 24.
Queste le credenziali di Manuel Agnelli, cantautore, musicista e produttore discografico milanese, protagonista della serata “Suoni dal futuro per Agnelli” del 24 maggio dalle 21 al teatro Sociale. Al suo fianco alcune giovani realtà del rock tricolore come Dlemma, The Whistling Heads, Neyja e Per Asperax.
Manuel Agnelli, che effetto le fa essere al Festival dell’economia?
“È strano, anche se sono figlio di un commercialista e consulente fiscale quindi nel Dna un po’ di consapevolezza ce l’ho. Credo che il musicista sia un lavoro, una professione vera e propria ma è difficile farlo accettare in Italia visto che quasi per tutti siamo solo degli intrattenitori. È bello che ci sia uno spazio per la musica in questo festival e forse anche la possibilità di poter parlare della musica come un lavoro, dove chi vive in questo mondo ha gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori, cosa che al momento non si verifica”.
Cosa delinea un titolo come "Suoni dal futuro per Agnelli"?
“Si riferisce alla generazione dei ragazzi tra i 15 e i 30 anni che penso cambieranno il mondo della musica perché hanno una forza espressiva che non sentivo da anni. C’è anche molto talento e questo naturalmente conta al di là dell'attitudine. Credo sia arrivato il momento storico per cambiare il ciclo all'interno dell'industria musicale e del mondo della cultura”.
Parliamo di “Carne Fresca" il progetto che promuove giovani artisti senza l'ausilio degli algoritmi: quali criteri utilizza per selezionare questi talenti e come si differenzia dalle logiche tradizionali del mercato delle sette note?
“La selezione avviene con un team di persone che sono nel mondo della musica da anni e alcuni sono musicisti essi stessi. Ci sono due direttori artistici oltre a me e un team che fa la prima selezione dopo la quale li facciamo esibire al Germi ed è la cosa più bella perché uno dei nostri obiettivi è di creare un circuito di locali simili al nostro per permettere a questi ragazzi di fare dei veri e propri tour in giro per tutta la penisola. Dopo l’esibizione capiamo il loro livello di maturità, non solo di talento, e cerchiamo di aiutare al meglio. Il nostro scopo non è organizzare la loro attività musicale, siamo un posto che fa attività culturale e stiamo cercando di passare la nostra esperienza per permettere a questi ragazzi di tagliare i tempi e di non commettere gli errori che abbiamo fatto noi”.
Quali le sfide che questi artisti affrontano oggi e come intende aiutarli a superarle?
“La mancanza di spazi, negli anni 80 e 90 oltre a una fioritura progressiva di club, festival e di posti culturali che facevano musica dal vivo c’erano i centri sociali che erano attivi e liberi nel proporre musica e arte in generale, erano dei laboratori dove poter sbagliare, crescere, sperimentare non per forza con l'obiettivo di finire sul mercato o di essere efficaci a livello commerciale. Uno dei nostri scopi è di diffondere questa scena musicale che è enorme proprio perché si riformino questi punti di riferimento, questi posti, club soprattutto ma anche centri culturali, dove i ragazzi possano esibirsi. La chiave di tutto è che stiamo bypassando la parte virtuale della cultura che ci ha contaminato negli ultimi trent’anni e stiamo tornando ad avere un desiderio di incontrarci veramente, fisicamente nei luoghi di aggregazione e quindi sono necessari prima di tutto i luoghi. Uno dei nostri obiettivi è ricrearli o fare rete con quelli che già ci sono”.
Il Festival dell'economia ha come tema "Rischi e scelte fatali. L'Europa al bivio": in che modo la musica può contribuire a riflettere su questi temi?
“I temi sono complessi per dei ragazzi che iniziano a fare musica oggi. La musica però fa informazione, la cultura è informazione sennò non è niente. Quello che possono fare questi ragazzi, e che già stanno facendo, è raccontarsi, raccontare i loro malesseri, i loro desideri e in questo modo far capire se ci stiamo veramente avviando in una direzione che ci aiuterà oppure se come al solito ci stiamo infliggendo delle torture in nome di un progresso inevitabile o della novità che ha fatto più danni dei vantaggi che ha portato. E’ importante ascoltare i ragazzi che non hanno soluzioni ma sono lo specchio e il riflesso di quello che noi abbiamo costruito in questi anni e che loro sono costretti a subire”.
Ha una lunga esperienza come giudice a X Factor: in che modo il suo approccio alla scoperta di nuovi talenti si è evoluto nel tempo?
“La scoperta di nuovi talenti per me non è una missione. Semplicemente sono un fan del talento in sé, mi commuovo davanti al talento, sono ammiratore di chiunque dimostri di avere un talento di qualsiasi tipo, nella musica in particolare. Non è tanto fare il talent scout per cercare il prossimo grande gruppo che mi interessa, preferisco far crescere i musicisti passandogli delle esperienze, dando loro dei consigli, cercando di arricchire il loro bagaglio di conoscenza indipendentemente dall'efficacia che questo potrà avere per la loro professione”.
Oltre alla musica, è anche conduttore di Radio 24: cosa significa per lei fare radio?
“Vuol dire fare informazione, molto banale ma semplice. Su Radio 24 mi sono trovato molto bene perché oltre alla libertà che ho nell'organizzare i miei contenuti, è una radio di contenuti. Oggi è sempre più raro: ci sono delle belle scatole vuote invece Radio 24 è una scatola con dei contenuti e questo secondo me è già un messaggio”.
Il 2025 celebra i vent’anni dalla pubblicazione di “Ballate per piccole iene”, disco che ha segnato il rock italiano.
“Per noi è stato un punto di svolta. In quegli anni abbiamo ricominciato ad andare all’estero in maniera decisa e per una dozzina d'anni abbiamo fatto tour in America e in Europa. È stato l’album che ci ha fatto ritrovare, ci ha dato un senso ed è il primo che hanno ascoltato molti di quelli che ci seguono oggi anche se noi esistevamo da molti anni prima”.
Per questo tour ha riunito la formazione originale dell'album: com'è stato ritrovarsi insieme?
“È stato bello rimettere insieme la formazione di vent'anni fa perché era da allora che non suonavamo più insieme e quindi c’è un elemento di novità rinnovata. Quando proponevo il progetto ho visto negli occhi degli altri una gioia che dopo tanto tempo è difficile trovare. Di solito quell'entusiasmo, quell'energia, quella gioia è dei ragazzi, poi inevitabilmente diventi sempre più professionista. In realtà questo tipo di formazione suonerà insieme con un entusiasmo che è difficile trovare in un progetto che esiste da così tanto tempo. Questo per noi sarà un grande vantaggio ma credo che si sentirà anche fuori”.
Il futuro di Manuel Agnelli?
“Oltre al tour degli Afterhours c’è un anno sabbatico. Ho questo privilegio anche se me lo sono guadagnato perché ho lavorato tantissimo in questi ultimi anni e proprio per questo vorrei riuscire a riconnettermi con delle persone in giro per il mondo a cui sono legato e che non vedo da anni. Vorrei andare a trovarle e prendermi del tempo per finire con tutta calma dei progetti musicali. E vivere che forse è la cosa principale perché io ho fatto musica per vivere come voglio io, non ho vissuto per fare musica, è il contrario e per essere coerente con me stesso è meglio che mi ritagli un po’ di tempo”.