Fim / Montagna

Oggi la prima del documentario “Paesaggio rifugio. Visioni e incontri da un altrove alpino”

Viene presentato oggi, 29 aprile, alle 17 in anteprima internazionale alla Multisala Modena, con replica domenica 39 alle 21.15

di Fabio De Santi

TRENTO. Viene presentato oggi, 29 aprile, alle 17 in anteprima internazionale alla Multisala Modena, con replica domenica 30 alle 21.15, il documentario “Paesaggio rifugio. Visioni e incontri da un altrove alpino” di Michele Trentini e Andrea Colbacchini. Lo sguardo dei due autori, come ci racconta qui Trentini, è rivolto ai rifugi alpini: un antropologo ricorda le loro trasformazioni i gestori di due storiche strutture ne rimarcano la valenza di presìdi territoriali e culturali, un glaciologo mostra l'evidenza dei cambiamenti climatici in alta quota.

Michele Trentini, come nasce questo documentario?

“Circa un anno e mezzo fa Gianluca Cepollaro, direttore della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, e Ilaria Perusin di Accademia della Montagna, ci hanno proposto di lavorare sui rifugi; abbiamo fatto alcuni incontri per approfondire l'argomento, affascinante ma anche complesso”.

In che senso è complesso?

“I rifugi rappresentano dei presìdi territoriali e culturali in trasformazione, come la società. Da un punto di vista architettonico, ad esempio, abbiamo incontrato architetti ed antropologi che si interrogano su forme e materiali. Per quanto riguarda la sostenibilità e delle risorse, ci sono rifugi che promuovono l'essenzialità di spazi, cibo, servizi e altri che tendono ad assomigliare ad alberghi o ristoranti”.

Il titolo cosa delinea?

“Pone l'accento sul concetto di paesaggio, che rappresenta una sorta di “rifugio”, per un numero crescente di persone, escursionisti, turisti, alpinisti: dalla quotidianità, dai paesaggi urbani. Quando ti trovi a camminare circondato da distese di roccia o a tu per tu con un ghiacciaio, nei suggestivi “territori dell'inutile”, le emozioni non mancano. È forse quello che cerchiamo? Salvo ritornare alla realtà più banale se qualcuno schiamazza”.

Poi ci sono i rifugi veri e propri.

“Certo, ne abbiamo incontrati molti e diversi, recentemente rinnovati, come il Mandron o avveniristici, come il Passo Santner. Ci sono quelli che raggiungi a piedi e altri che forse non sarebbe il caso di chiamare rifugi. Abbiamo dato priorità ai rifugisti di alcune piccole strutture “storiche”, come il Taramelli o il Passo Principe, per andare al cuore di alcune questioni. I gestori rappresentano in molti casi dei “fari” in senso culturale e alpinistico. Lassù c'è bisogno di loro non solo per mangiare, bere o pernottare, ma anche per ricordarci che ci sono consuetudini che consentono a tutti di vivere meglio le esperienze e regole che possono anche salvarti la vita”.

Qual è la colonna sonora che accompagna le immagini?

“Abbiamo deciso di aggiungere a quelli d'ambiente, altri suoni “naturali”, canti di balene. Ci sono sembrati adatti ad accompagnare le immagini di questi estranianti paesaggi, dove milioni di anni c'erano immensi mari tropicali. Oggi mari di roccia o di abetaie, in cui i rifugi appaiono un po' come delle balene”.

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