Spettacoli / Intervista

Simona Marchini: «In scena tutta la gamma dei sentimenti umani»

La celebre attrice racconta "Mine vaganti", proposta al Sociale di Trento da oggi, giovedì 2 febbraio, a domenica. La versione teatrale del noto film di Ferzan Ozpetek vede sul palco, fra gli altri, Francesco Pannofino e Iaia Forte

di Fabio De Santi

TRENTO. «Come trasporto i sentimenti, i momenti malinconici, le risate sul palcoscenico? Questa è stata la prima domanda che mi sono posto, e che mi ha portato un po’ di ansia, quando ha cominciato a prendere corpo l’ipotesi di teatralizzare il mio film».

Così il regista turco Ferzan Ozpetek delinea la genesi di “Mine vaganti" l’adattamento di uno dei suoi capolavori cinematografici con il quale firma la sua prima regia teatrale per uno spettacolo in scena al Sociale da oggi, giovedì 2 febbraio, a domenica. In scena insieme a Francesco Pannofino, Iaia Forte, Erik Tonelli e Carmine Recano anche una grande protagonista della comicità e del teatro italiano come l’attrice romana Simona Marchini che qui ci racconta “Mine vaganti”.

Simona Marchini, come è stata coinvolta nello spettacolo di Ferzan Ozpetek?

«Sono stata contattata dalla produzione di “Mine vaganti”, in particolare da Marco Balsamo che conosco da tanto tempo e mi ha convinta perentoriamente dicendomi di prepararmi a fare almeno quattro mesi di tournée. Stavamo uscendo dal covid e non mi sembrava possibile farlo davvero, gli ho detto che era un pazzo ma alla fine mi ha convinta»”.

E il suo ruolo?

«Io naturalmente sono la nonna che è il personaggio più forte delle pièce. Credo che Ferzan Ozpetek si sia ispirato a sua madre che dai suoi racconti mi sembra una donna che abbia sempre anticipato i tempi. Alla fine lei è la chiave di tutto e per amore risolve tutti i drammi della famiglia e normalizza la situazione. La amo particolarmente essendo anch’io nonna, anche se di un solo nipote, che amo perdutamente e quindi capisco il personaggio e lo sento molto vicino».

Uno spettacolo che sta ottenendo un grandissimo successo.

«Sì, ed è una bellissima esperienza perché cattura tutto il pubblico, indistintamente, ogni sera, in tutta Italia ed ogni volta è davvero un’emozione enorme. C’è sempre il tutto esaurito con la gente che alla fine si alza in piedi ad applaudire, che ci aspetta fuori dal teatro per abbracciarci. E’ una gratificazione immensa ma è anche la conferma del bisogno di teatro».

Quale è la carta vincente?

«Mine vaganti è coinvolgente perchè qui viene rappresentata tutta la gamma dei sentimenti. E’ anche divertente, brillante pechè Ozpetek ha voluto inserire quell’ironia, soprattutto nei personaggi gay, che alleggerisce e semplifica il racconto. Poi c’è una bella compagnia di attori come Pannofino e Iaia Forti.Io faccio la nonna anche fuori dalla scena (sorride la Marchini; ndr) che porta i dolci perché mi piace l’armonia, mi è sempre piaciuta perchè io competo con me stessa sul palcoscenico e non con gli altri».

Quanto è stato difficile per Ozpetek passare dal cinema al teatro?

«Molto, ma ci è riuscito davvero molto bene. A parte la bravura sulla stesura del copione, c’è stata la collaborazione di uno scenografo molto intelligente che ha pensato di usare sul palco dei semplici tendaggi. E’ riuscito così a mantenere un ritmo cinematografico perchè la situazione varia ogni cinque/dieci minuti e dietro queste tende noi ci cambiamo per preparare il momento successivo con una leggerezza tale che è importante per sostenere uno spettacolo di questo tipo».

Quanto la diverte ancora fare teatro?

«Tantissimo: il teatro non ti delude mai da questo punto di vista perchè è una scommessa tutte le sere. E' una sfida con se stessi, un esercizio di volontà e di capacità di reagire: a volte siamo stanchi morti perchè la vita in tournée è molto faticosa ma quando sei lì l’attore è costretto ad andare in scena, anche se stai male non si sfugge. Io dico sempre che i ragazzi al posto di servizi militari trucidi dovrebbero fare teatro perchè è inesorabile, non lo puoi evitare perchè anche se ammaccati si lavora».

Le ha mai pesato la popolarità?

«No, perché l’ho vissuta sempre con grande stupore, non mi sono mai sentita una diva, nemmeno ai tempi di “Quelli della notte” o “Piacere Raiuno” quando c’era la polizia che ci faceva uscire dagli studi televisivi perchè eravamo sommersi dalla gente. Mi sono sentita sempre una persona, non un personaggio e questo mi ha dato un equilibrio che mi impedisce di darmi ari: sarebbe un comportamento che non mi appartiene, grazie anche all'educazione che ho ricevuto e per cui sono molto grata ai miei genitori.

Anche quando mio padre era coinvolto ad esempio nella presidenza della Roma calcio (era il presidente, ndr), noi avevamo sempre un atteggiamento riservato, tranquillo, non ci siamo mai identificati con l’apparenza dei ruoli. Forse anche per questo non sono mai diventata una diva cinematografica. Ho fatto l’università e una vita lontana dal mondo dello spettacolo finché Don Lurio non mi incontrò in un periodo difficile della mia vita e mi presentò a Romolo Siena che cercava una comica inedita. Non ci potevo credere che mi volessero, è successo proprio un miracolo: io raccontavo solo la mia vita con leggerezza, con l’umorismo di famiglia ma questa cosa riuscì a emozionare anche Gigi Proietti che mi sentì raccontare un episodio a una cena e mi disse “Dai lo rifacciamo a teatro”. E lo abbiamo fatto davvero. Ho avuto cose straordinarie sul lavoro ma tutte vissute con certo pudore».

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