Musica / L’intervista

Beppe Carletti e il ritorno a Levico: «È un luogo che ha un forte legame con la storia dei Nomadi»

Il gruppo, prossimo a celebrare i primi 60 anni di musica e canzoni, torna in quella Levico che nell’estate del 1965 li accolse come giovane cover band. Le emozioni di Beppe Carletti, che nella notte di Santo Stefano (26 dicembre) suonerà al Palalevico

di Fabio De Santi

TRENTO. In attesa di celebrare i loro primi sessant’anni di musica e canzoni i Nomadi tornano in quella Levico che nell’estate del 1965 li accolse come giovane cover band. Un luogo speciale dunque per la storia della band emiliana, e lo sottolinea qui Beppe Carletti, che il 26 dicembre nella notte di Santo Stefano suonerà al Palalevico. Un migliaio i posti disponibili per il popolo nomade atteso da tutta la regione ma non solo con pochissimi biglietti ancora da staccare a poche ore dall’evento.

Beppe Carletti, cosa significa per lei suonare a Levico? 
«È uno dei luoghi che si legano in maniera forte alla storia dei Nomadi. Un luogo che porto nel cuore, di ricordi importanti ed è sempre bello tornarci. Mi vengono alla mente i tanti giorni trascorsi al Lido di Levico e le persone incontrate che poi negli anni ci hanno continuato a seguire».

Cosa le manca maggiormente di quegli anni?
«La prima cosa è la gioventù inutile nasconderlo. Poi c’è la spensieratezza che ci caratterizza come ragazzi con una grande passione per la musica. Mancano tante cose ma non si può tornare indietro. I ricordi sono bellissimi e me li porto sempre nel cuore anche perché, purtroppo di quel gruppo di ragazzi, sono rimasto solo io. A Levico siamo tornati poi nel 1966 ma eravamo un pochino diversi perché avevamo ottenuto già un certo successo con “Come potete giudicar” che ci aveva dato una visibilità televisiva».

Riavvolgendo il nastro della vostra storia si sarebbe mai immaginato un percorso così unico e leggendario per la sua band?
«Non ci pensavo, non ci pensavamo. Vivevamo tutti il presente senza immaginare tutte le cose meravigliose che ci attendevano nel tempo nel segno della musica. Pensavamo a suonare a divertirci ed eravamo felici di poter salire su un palco con la gente che ci ascoltava, senza dimenticare ovviamente le ragazze. Lo facevamo con gioia e leggerezza, era bellissimo. Non dimentichiamoci che eravamo una cover band siamo stati fra i primi che suonavano le canzoni di un Fabrizio De Andrè allora poco conosciuto».

Quale concerto avete preparato per Santo Stefano?
«Ci saranno diverse sorprese. Andiamo a ripescare anche diverse canzoni di diversi anni fa perché ne abbiamo incise 360 e quindi la scaletta cambia sempre». 

Il 2023 sarà quello dei primi sessant’anni di Nomadi come lo sta immaginando?
«Se devo essere sincero non me ne rendo ancora conto di questo traguardo. Oggi, come dicevamo, ci sono solo io dei primi tempi ma se i Nomadi sono qui da sessant’anni è merito di tutti, dal primo all’ultimo, iniziando naturalmente da Augusto Daolio fino alle ventiquattro persone che hanno permesso nel tempo di far arrivare fino ad oggi questa nostra meravigliosa avventura. Mi ricordo che alcuni anni fa, proprio in un’intervista all'Adige avevo detto che la memoria di Augusto in fondo è sempre con noi sul palco quando cantiamo le sue canzoni. Io penso di averlo sempre rispettato e di non aver mai tradito quello che era il nostro essere. Credo che oggi sia ancora così».

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