Spettacoli / Intervista

Andrea Castelli rivisita "Sol" in salsa remix dopo 36 anni: "Sarà una sorpresa per tutti"

L'apprezzato attore trentino racconta lo storico show rinnovato che tornarà in scena domani, giovedì 22 dicembre, al teatro Sociale (tutto esaurito): "Il momento è delicato. Il pubblico ora ha tanta voglia di sperare, tanta voglia di divertirsi per sconfiggere la paura"

di Fabio De Santi

TRENTO. Sono passati trentasei anni da quando Andrea Castelli, uno dei punti di riferimento imprescindibili per il teatro trentino, portò per la prima volta in scena "Sol". Un monologo che l'attore di Trento ha deciso di visitare in una versione "remix" per la serata, per ora unica, di domani, giovedì 22 dicembre al teatro Sociale (inizio ore 20.30; biglietti ancora disponibili). L'idea di Castelli, ce lo racconta in questa intervista, è anche quella di rendere omaggio a quel pubblico di affezionati “fan” che ormai hanno consumato audio e videocassette per citare a memoria i passi salienti, le battute, anche quelle che anche lui ha già dimenticato.

Andrea Castelli, come mai dopo tanto tempo  ha deciso di riportare in scena "Sol"?

"Devo ringraziare Massimo Ongaro, direttore del Santa Chiara, che da tempo mi sollecitava per una sorta di serata di gala, da fare in periodo natalizio come regalo per il mio pubblico. L’idea mi era piaciuta e allora ho pensato di premiare i miei fedelissimi ammiratori con il monologo che più ricordavano".

Quale?

"Il primo, perché appunto era la prima volta che da noi un attore si cimentava da solo, ecco il titolo Sol, con un lungo monologo sul palco. Ho lottato duramente per sdoganare qui da noi il mestiere di attore professionista, cioè che vive di questo mestiere, che non lo fa a tempo perso. Volevo dimostrare (come dicono i miei allievi) che anche da noi, nella nostra terra, si può. Quindi ho intrapreso un percorso iniziato con Marco Bernardi allo stabile di Bolzano e culminato alla corte di Carmelo Rifici col teatro di Lugano, (col testo di Angela Dematté nel 2018) in tante serate al Piccolo di Milano, a Torino, al Bellini di Napoli… questo per dire che ne è passata di acqua sotto i ponti da quel mio primo monologo perché ho cercato di esplorare tutta la gamma delle mie possibilità di attore, come è giusto che sia. Non volevo diventare il battutaro fossilizzato sulle sue macchiette e che al di fuori di quelle si perde. La soddisfazione grande è stato vedere che il Sociale era già esaurito un mese prima della mia data".

Nel titolo di oggi si parla di "remix".

"Significa che non voglio farlo come sul cd che circola da anni e che molti conoscono ormai a memoria. Devo sorprenderli, altrimenti a cosa serve uno spettacolo dal vivo? E cercherò una via che, rispettando i brani più amati per vedere se ancora reggono, lo tiri un po’ verso il tempo d’oggi. Per quel che si può. Il pericolo in agguato è tornare indietro e basta, dovrò farlo dando un senso alla regressione. Il fatto è che da allora, appena licenziato dalla Rai, giovane bellimbusto capellone e ribelle, sono trascorsi quasi quarant’anni".

E adesso?

"Beh, “l’anziano” le stesse cose le vede sotto un’altra luce, più disincantata e forse anche più amara, in definitiva più smaliziato, forse disilluso. Allora qui si aprono due strade: o fai finta di niente, ti diverti e basta come alla cena dei coscritti, o ci ragioni e allora le cose cambiano e non sai come reagirai a scoprire che parli di un mondo che non c’è più".  

Dalle origini di "Sol" il suo Trentino e il mondo intero sono cambiati: qual è allora l'attualità di questo suo monologo di culto?

"Appunto. Si parla di un mondo che non c’è più. L’attualità, gratta gratta, è proprio questa: ragazzi dobbiamo renderci conto che stiamo parlando di un tempo allegro, spensierato o quasi, che nulla ha a che fare con i giorni che stiamo vivendo, dove la diffusione programmata della paura sembra perfino avere una regia, dove la confusione regna incontrastata e la trasgressione non è più contro la regola, ma è diventata la regola stessa. L’importante è non fare la morale, perché il teatro, a mio avviso, non deve fare la predica, ma solo dire le cose, farle intendere e che la gente uscendo ne tragga le conclusioni che preferisce".  

Che effetto le fa tornare sul palco del Sociale?

"È sempre un effetto benefico, taumaturgico. Non c’è più quel profumo di legno vecchio misto a quello del cerone e della cipria che tanto mi inebriava da ragazzo. Però è sempre un’emozione forte, ti fa capire che sei in un teatro vero. L’ultima volta (all’interno e non nel formato estivo Capovolto fatto nel luglio scorso) fu con il teatro stabile di Bolzano diretto da Marco Bernardi per fare “Sanguinare inchiostro” un testo mio sulla Grande Guerra con la regia di Carmelo Rifici e altri cinque bravissimi attori".

A proposito di mutazioni: come è cambiato il pubblico nei teatri rispetto a quando metteva in scena "Sol"?

"Il momento è delicato. Il pubblico ora ha tanta voglia di sperare, tanta voglia di divertirsi per sconfiggere la paura. Brutto però sarebbe che chi fa spettacolo cavalcasse questa voglia di svago propinando solo melassa".

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