Trento / La mostra

"Com'eri vestita?": la violenza sessuale sulle donne non dipende dall'abito

A Trento l'esposizione di Amnesty che racconta storie di violenza sessuale attraverso i vestiti che le donne indossavano. Obiettivo sensibilizzare il pubblico sul tema, partendo da una domanda posta troppo spesso a chi subisce molestie

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TRENTO. In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ius programma per venerdì 25 novembre, il consiglio delle donne del Comune di Trento, in collaborazione con le circoscrizioni e diverse associazioni cittadine, propone la mostra fotografica "Come eri vestita?" di Amnesty international.

La mostra - si apprende - prende ispirazione dal poema "What I was wearing" di Mary Simmerling, in cui si raccontano storie di violenza sessuale attraverso i vestiti che le donne indossavano quando hanno subito la violenza, per sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne partendo da una domanda ricorrente posta a chi subisce molestie o violenza sessuale.

L'esposizione, proposta dal servizio cultura, turismo e politiche giovanili del Comune, in collaborazione con lo sportello Civico 13, sarà visitabile dal 23 al 24 novembre e dal 29 al 30 novembre.

La violenza sessuale non può essere evitata cambiando abito: lo rende evidente, più di mille parole, la mostra dove i vestiti esposti - un pigiama, una tuta, un jeans e una maglietta - rappresentano simbolicamente quelli indossati durante la violenza e sono accompagnati da brevi racconti delle donne che l'hanno subita.

"Eravamo al mare, cercavo l'amore, il primo amore, ma tu mi hai giudicato per come ero vestita e ti sei sentito autorizzato": le parole scritte da una sopravvissuta a una violenza, sono la miglior risposta all'immancabile domanda "Cosa indossavi? Com'eri vestita?", che "colpevolizzano chi subisce violenza", come spiega Francesca Scardi, terapeuta e fondatrice della cooperativa milanese Cerchi d'acqua, organizzatrice della mostra a  Milano.

In mostra "ci sono alcune storie che arrivano dalle colleghe americane, le parole delle ragazze che subiscono violenza all'interno dei campus, cui noi - racconta Scardi - abbiamo abbinato dei vestiti in base ai loro racconti. Poi abbiamo chiesto alle donne che frequentano i nostri gruppi di auto aiuto se avevano voglia di partecipare a questa mostra, anche perché per loro poteva essere un pezzo importante di un percorso di elaborazione del trauma, e ci hanno mandato brevi frasi in risposta alla domanda 'com'eri vestita?'.

L'idea della mostra - sottolinea - è dire che non è il vestito che genera la violenza, anche perché ci sono jeans e magliette, vestiti da signora, pigiami e purtroppo anche costumini da bambina. Nelle situazioni dove la violenza era avvenuta anni prima, le donne hanno fatto una descrizione del vestito che indossavano e noi lo abbiamo ricostruito, in altre situazioni sono state loro a portare dei vestiti collegati alla loro storia". L'esigenza più forte, rispetto alla mostra americana, è stata quella di raccontare la realtà italiana: "nella maggioranza delle situazioni che vediamo - spiega la terapeuta - le violenze avvengono all'interno della coppia o della famiglia.

Come cerchi d'acqua, dal 2000 al 2016 abbiamo seguito oltre 10mila situazioni di violenza, 595 solo nel 2017, con una media di 600 donne all'anno a Milano e provincia". La cooperativa, nata con l'obiettivo di dare uno spazio libero da giudizio, anonimo e gratuito per l'elaborazione del trauma, offre anche consulenze legali, ma "il pezzo più grosso è la psicoterapia, con 7 gruppi di auto aiuto per donne che subiscono maltrattamenti". E' in questo percorso che si è inserita la mostra, che a livello psicologico "riattiva la riflessione e ha un portato positivo, tanto che alcune donne ci hanno detto: 'vi consegniamo i nostri contributi, così ce ne liberiamo'".

La speranza, sottintesa, è che anche un progetto come questo contribuisca ad avviare il cambiamento culturale di cui c'è tanto bisogno perché "le donne sono stufe di sentirsi dire 'ma com'eri vestita?".

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