Un libro sui boschi trentini e la loro gestione nell'Ottocento (attuiale ancora adesso)

di Fabrizio Torchio

Ieri alla Libreria Athena di Pergine è stato presentato un libro importante dedicato alla storia forestale del Trentino. «Le radici dei boschi. La questione forestale nel Tirolo italiano durante l’Ottocento» (Publistampa, 2019), volume di 532 pagine, è opera di Mario Cerato, già dirigente del Servizio Bacini montani della Provincia. Laureato in scienze forestali, l’autore sintetizza il contenuto della sua corposa opera in questa intervista.

Le radici dei boschi è un libro notevole, con le sue 532 pagine. Come e perché è nato?
«Mentre svolgevo altre ricerche d’archivio ho reperito una interessante e inaspettata documentazione sulla situazione forestale nell’Ottocento. Per curiosità ho poi approfondito la storia dei boschi in valli che mi interessavano particolarmente come la val dei Mòcheni, la val di Tovel e la val di Genova, estendendo poi la ricerca a tutto il Trentino. È un libro in cui la storia è raccontata tutta sulla base di documentazione d’archivio verificata con i necessari riscontri in campo».

Perché parlare della questione forestale dell’800 significa parlare degli attuali boschi del Trentino?
È difficile avere la percezione della longevità e della complessità dei boschi; ci sembrano infatti un’invariante del paesaggio, mentre le foreste sono sistemi dinamici, che si evolvono e si modificano reagendo ad ogni loro modificazione. Modifiche avvengono per le usuali utilizzazioni di legname o legna, ma anche per gli effetti del pascolo in bosco oppure per danni causati dal vento, dalla neve o da incendi. Conoscere la gestione e le vicende forestali dell’Ottocento permette quindi di capire meglio anche lo stato attuale dei boschi».

Il libro racconta una storia complessa. Fra gli spartiacque principali ci sono la legge forestale del 1852 e la riorganizzazione del 1859: cosa accadde di importante?
«Il primo cambiamento è avvenuto ad inizio secolo con il passaggio dei boschi in proprietà ai Comuni dopo la fine dell’autogestione delle comunità. Questo ha causato una situazione forestale critica protrattasi fino a metà secolo quando l’Impero è stato indotto a mettere in atto una serie di riforme quali, appunto, la legge forestale dell’Impero del 1852, ma anche la riforma dei custodi forestali del 1856 e la riforma dell’organizzazione forestale del 1859. Successivamente, dopo la perdita del Veneto nel 1866 il Tirolo italiano divenne terra di frontiera, strategicamente importante, a cui erano quindi riservate maggiori attenzioni governative. Questa situazione ha dato origine anche a più attive prassi gestionali forestali, consolidatesi soprattutto nel periodo che va della grande alluvione del 1882 alla Prima guerra mondiale».

Nel rapporto fra i Comuni e le autorità quali sono stati i momenti più difficili? E quali le contese più eclatanti?
«Nella prima metà secolo il centralismo amministrativo statale abbinato all’indebitamento cronico dei Comuni, alla povertà di gran parte della popolazione, al verificarsi di epidemie e calamità, non ha certo favorito un clima di armonia fra popolazione e organismi statali. Esemplare è quanto avvenuto in Primiero dove le foreste erano quasi tutte proprietà dello Stato e le comunità avevano solo il diritto di utilizzare legname e legna per uso dei censiti. Una situazione che ha innescato un lungo contenzioso protrattosi fino a fine secolo quando le questioni proprietarie sono state risolte. Ribellioni si sono avute anche in altre parti del Trentino per i continui tentativi di bloccare con maldestre azioni repressive il pascolo delle capre o per palesi favoritismi nell’assegno di legname ai benestanti mentre veniva negato ai poveri».

L’episodio dei giocattoli di Fassa è emblematico: cosa accadde nel 1868?
«Certi divieti attualmente ci sembrano paradossali, ma fanno parte di quell’ossessione che avevano le autorità governative nel reprimere ogni attività che comportasse un sia pur limitato sfruttamento delle risorse forestali tenendo in scarsa considerazione le condizioni sociali della popolazione. In varie riprese si tentò di vietare la costruzione di edifici o staccionate in legno. In val di Fassa la fabbricazione di giocattoli in legno permetteva a quella popolazione di montanari di guadagnare qualche soldo, ma ad un certo punto si negò la concessione del legname necessario. Nel 1868 questo divieto portò anche a un contrasto fra autorità in cui, alla fine, prevalse la posizione del Capitano distrettuale di Cavalese che accolse la richiesta del Comune di Pera di avere l’assegno di due piante di pino cembro per ogni famiglia che fabbricava giocattoli».

Colpisce il fatto che già nel 1852 fosse vietato raccogliere la Stella alpina. La flora alpina era già “a rischio”?
«Non mi è mai capitato di trovare alcun documento che riguardasse questo tema. Penso che la tutela dell’Edelweiss, etimologicamente “nobile bianco”, per il mondo tedesco fosse dovuto a un particolare simbolismo. Più giustificati furono invece i divieti di prelievo della “foiarola”, una specie cespugliosa che per il suo alto contenuto di tannino era utilizzata nella concia delle pelli ed esportata in grandi quantità. Anche il larice già a inizio secolo è stato oggetto di provvedimenti che ne limitavano il prelievo per la sua palese scarsità dovuta ai tanti utilizzi e al valore del suo legname».

È anche la storia della fluitazione: dove avveniva? E quando cessò?
«La fluitazione avveniva su tutti i corsi d’acqua con una portata d’acqua sufficiente e che non presentassero ostacoli insormontabili. Era un mezzo di trasporto molto conveniente che sull’Adige avveniva con zattere mentre su tutti gli altri corsi d’acqua legname e legna da ardere venivano fluitati sciolti. La fluitazione terminò per motivi diversi da zona a zona ed è stata causata dalla costruzione delle vie di comunicazione, ma anche dal fatto che la fluitazione provocava danni alle opere di sistemazione idraulica che, dopo l’alluvione del 1882, venivano realizzate ovunque».

Rimboschimenti e alluvioni sono ancora oggi un tema attuale. Come si è fatto fronte al dissesto idrogeologico nell’Ottocento? E in che misura l’attuale “struttura” è figlia di quelle scelte?
«In Trentino dopo l’alluvione del 1882 è stata attuata una vera e propria rivoluzione organizzativa e operativa. Sono stati creati uffici e messe a disposizione risorse adeguate per attuare le cosiddette sistemazioni integrate, cioè interventi intensivi costituiti principalmente da opere di sistemazione idraulica abbinati a interventi estensivi costituiti da rimboschimenti e miglioramenti dei boschi. Questo sistema ha portato evidenti benefici nel rafforzamento del territorio e, pur costituendo fra le due guerre un’anomalia, è fortunatamente sopravvissuto fino al secondo dopoguerra. È stato poi ripreso con vigore con l’autonomia ottenuta dalla Regione Trentino Alto Adige che ha garantito una continuità di finanziamento. Particolarmente importante è risultata e risulta ancora la continuità organizzativa e degli staff tecnici che consente la trasmissione delle esperienze, essenziale nello svolgimento di questo tipo di attività».

L'autore, Mario Cerato

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