Lino Banfi: «Io, frate in una serie con Al Bano»

di Emanuela Castellini

«Ho voluto spegnare le mie 83 candeline in questo luogo incantevole, perché proprio qui ho festeggiato il mio cinquantesimo compleanno con il film di Dino Risi, “Il commissario Lo Gatto” che è stato girato proprio qua: Favignana mi è rimasta nel cuore  perché l’accoglienza è calorosa e mi portano i ricci di mare – sono un riccio dipendente – E, soprattutto, il film di Risi ha segnato  il mio passaggio non dico alla serie A, ma l’ingresso in una squadra più forte, dopo quella pellicola ho fatto uno scatto in avanti».

Parola di Lino Banfi che dall’arcipelago delle Egadi, è stato il protagonista del Festival della commedia di genere, dedicato alla commedia in giallo.

Lino, il regista Tarantino non perde mai occasione di esaltare il cinema che faceva negli anni ’70. E che vorrebbe coinvolgerla in un suo film. Corrisponde al vero?

«Sì. Già me lo promise quando ci incontrammo alla Mostra del cinema di Venezia, gli dissi che non parlavo inglese, ma che avrei potuto fare un bel ruolo anche esprimendomi con lo sguardo come su Raiuno per “Vola Sciusciù”. Potrebbe nascere un progetto insieme, salvo che quella volta non fosse “ubrieco”».

Quanto è stato difficile da Pasquale Zagaria (il suo vero nome) diventare Lino Banfi?

«È stata molto dura: un cammino di traversie, di sentieri inerpicati di spine. Negli anni ’60 mi ero trasferito a Roma e se volevi andare avanti dovevi chiedere i soldi “a strozzo”. E chi prestava questi soldi con interessi da restituire altissimi erano i rom e quelli non scherzavano. Ero arrivato a loro, tramite un’infermiera che mi disse che sapeva che avevamo bisogno e c’erano delle persone che potevano aiutarci, mandarci i pannolini per nostra figlia perché la signora ribadiva: ”siete una famiglia povera”. Per farla breve: nel ’65 da ottocentomila lire prestate dovetti pagare tre milioni d’”interessi” in pochi anni. Ma alla fine sono riuscito a superare tutte le forche caudine».

Nella sua carriera l’incontro con Totò è stato importante?

«Sì. Andai dal principe De Curtis con un foglietto di raccomandazione da parte di un suo conoscente per poter fare un particina in un suo film. Totò dopo che lesse il mio cognome – che avevo accorciato in Zaga, mi disse: “Devi cambiarlo. I cognomi abbreviati portano male”. E così, tramite un impresario, che faceva anche l’insegnante, chiesi il primo nome di un suo alunno dal registro scolastico, era Aurelio Banfi e così sono diventato Lino Banfi».

Progetti futuri?

«Una mini serie con Al Bano Carrisi, dove lui farà un ex delinquente redento ed io un frate cappuccino».

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