Alvarez, la mia Lisbeth nell'era #MeToo

Esce il 31 ottobre nelle sale cinematografiche italiane Millennium - Quello che non uccide, il sequel di Millennium - Uomini che odiano le donne (2011) diretto dal regista uruguaiano Fede Alvarez (La Casa, Man in the Dark), adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo scritto da David Lagercrantz, séguito della saga Millennium di Stieg Larsson presentato alla Festa di Roma. A interpretare la protagonista, Lisbeth Salander, una giovane hacker investigatrice dal carattere riservato e sotto interdizione legale - non c'è più Rooney Mara ma Claire Foy.

L'attrice britannica è all'apice della sua carriera. Dopo lo straordinario successo ottenuto con la serie tv The Crown, in cui ha interpretato la Regina Elisabetta II e grazie al quale si è aggiudicata un Golden Globe (2017) e un Emmy Award (2018), di recente la Foy è stata scelta anche dal regista premio Oscar Damien Chazelle per affiancare Ryan Gosling nella sua ultima pellicola, Il Primo Uomo. "È straordinaria - rivela Fede Alvarez - Un regista se ne accorge subito, appena accende la spia rossa della telecamera. È quella sensazione che provi solo quando ti rendi conto che il personaggio che avevi in mente ora è lì davanti ai tuoi occhi, in carne e ossa". Quella della Foy (e di Alvarez) è una versione del tutto nuova della Lisbeth Salander che abbiamo imparato a conoscere. Parola del regista, che spiega: "Non abbiamo dato molto peso al suo look: vestiti, trucco, ha solo un paio di piercing mentre prima ne aveva centinaia. E poi non volevo renderla sexy e bellissima a tutti i costi come spesso accade in quei film in cui ci sono delle super eroine. Non sono per la bellezza ovunque, che paradossalmente è il contrario di quello che si cerca a Hollywood".

La Salander è per la prima volta la vera protagonista della storia. "Questo film è il primo incentrato esclusivamente su di lei - prosegue Alvarez - Racconta la sua storia e le sue esperienze di vita attraverso i suoi occhi. Finalmente possiamo conoscerla meglio. Perché piace così tanto? Perché è forte, tanto da non scendere mai a compromessi. Cerchiamo di comprenderla a fondo ma è sfuggente, che è un po' la storia di tutte le ragazze delle quali mi sono innamorato da ragazzino. Non conosciamo i suoi segreti e le sue vergogne ed è questo quello che più ci affascina di lei". Insomma, il profilo perfetto della donna post #MeToo e Time's Up. "Lo scandalo è scoppiato mentre eravamo ancora al lavoro sul film - rivela il regista - Per questo ogni giorno eravamo molto attenti alle notizie, a tutto quello che accadeva, e ovviamente ne abbiamo preso ispirazione. È sempre ottimo quando fai uscire un film su temi che sono rilevanti anche nell'attualità". A chi lo chiama Il re dei reboot, Fede Alvarez risponde: "È sicuramente una bella etichetta da avere, credetemi, perché vuol dire che hai la possibilità di realizzare tantissimi film. Non credo però sia molto adatta a me: non sono il re, per quell'appellativo dovrei essere J.J. Abrams".

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