Cia sul teatro di Castellucci «Blasfemo, non va proposto»

Cattolici conservatori contro un regista teatrale e chi lo propone in Trentino.

Cattolici conservatori contro un regista teatrale e chi lo propone in Trentino.

Arriva (anche) sulla scrivania del presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti lo spettacolo teatrale di Romeo Castellucci «Sul concetto di volto nel figlio di Dio» in calendario per il 5 aprile al Melotti.

A sottoporgli la questione il consigliere della Civica Trentina Claudio Cia , che ha depositato un'interrogazione consiliare per conoscere tutti i dettagli dell'evento in cartellone. Vuole sapere «se è vero che l'organizzatore sia il Centro servizi culturali Santa Chiara e quali contributi abbia percepito negli ultimi cinque anni, se è a conoscenza del contenuto della pièce teatrale e se non la ritiene lesiva della sensibilità degli spettatori e se conferma il patrocinio da parte dei comuni di Rovereto e Trento».

Ma le richieste di Cia vanno oltre: «Quali sono i parametri che hanno indotto il Santa Chiara a organizzare un evento osceno». Infine chiede se siano stati stanziati finanziamenti specifici da parte di Provincia o Comuni. «Mentre l'islam mette in discussione i valori che ci sono propri - conclude il consigliere - noi promuoviamo senza esitazione il folle lavoro di decostruzione della nostra identità, gettando merda su Cristo».

«Invito il sindaco Francesco Valduga e l'assessore alla Cultura Maurizio Tomazzoni a prendere una posizione ufficiale su questa vicenda - tuona il consigliere della Lega Viliam Angeli -. Non ha importanza che la rappresentazione sia stata scelta dal Santa Chiara, è qui che andrà in scena, ed è qui, a Rovereto, che le istituzioni devono rispondere ai tanti cittadini che chiedono risposte».

La reazione pesante da parte di cattolici tradizionalisti contro lo spettacolo non è cosa nuova, anzi: «Gruppi di cattolici integralisti minacciano di interrompere Sul concetto del volto del figlio di Dio di Romeo Castellucci, in scena dal 24 gennaio al teatro Franco Parenti di Milano. In alcuni blog oltranzisti lo si minaccia di morte.

I giornali cavalcano la polemica pretestuosa (e falsa), secondo cui nello spettacolo si getterebbe sterco sul ritratto del Cristo Salvator Mundi di Antonello da Messina che campeggia sullo sfondo. Nessuno di quelli che minacciano o blaterano ha visto lo spettacolo», scriveva quattro anni fa Massimo Marino di Controscene nel suo blog sul Corriere di Bologna.


All'epoca dell'attacco teocon, il regista replicò con questa lettera.

Come acqua sono versato
Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, a Milano
 
di Romeo Castellucci
 
Questo spettacolo nasce dalla considerazione dell’estrema solitudine di oggi del Volto di Gesù e della sua deriva nell’inattuale. 
 
Questo spettacolo vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, della sua incontinenza, del suo crollo fisico e morale. Crede, senza conoscerlo, in questo comandamento. Fino in fondo.
 
Fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere. La kenosis troppo umana di fronte a quella divina.
 
Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Gli escrementi rappresentano la realtà ultima della creatura, ma anche il vocabolario quotidiano del linguaggio d’amore che il figlio porta al proprio padre.  
 
Questo spettacolo mostra sullo sfondo il grande volto del Salvator Mundi dipinto da Antonello da Messina. Tutto lo svolgimento della scena non è che un piano-sequenza molto semplice che descrive tutti i tentativi del figlio di pulire e ridare dignità al vecchio genitore. Invano.  Gesù è il testimone muto del fallimento del figlio.
 
Questo spettacolo ha scelto proprio il dipinto di Antonello a causa dello sguardo che il pittore ha saputo imprimere all’espressione ineffabile del volto di Gesù.  Questo sguardo è in grado di guardare direttamente negli occhi ciascuno spettatore. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Questa economia dello sguardo obbliga,  perché interroga, la coscienza di ciascuno spettatore come spettatore. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Questo ritratto di Antonello cessa di essere un dipinto. Si fa specchio.
 
Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche lo rendono possibile,  vede l’ingresso di un gruppo di bambini. Entrano in scena con le loro cartelle di scuola che svuotano presto del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno a uno cominciano a lanciare queste bombe sul ritratto. 
 
È un crescendo. Ad ogni colpo corrisponde un frastuono. Nel climax delle deflagrazioni, imitanti degli autentici colpi di cannone, nasce dapprima una voce che sussurra il nome di Gesù, poi si moltiplicano fino a diventare tante e tutte ripetono quel nome. Poi, sul finire dell’azione e come fosse il prodotto di quei colpi, nasce un canto: il “ Gloria Patri – Omnis Una “ di Sisak. I colpi delle bombe diventano la musica del suo nome. In questa scena chi lancia delle granate giocattolo sono dei bambini, non ci sono adulti. 
Sono innocenti contro un innocente. La violenza rimane nel gesto adulto mentre l’intenzione è quella del bambino che vuole l’attenzione del genitore distratto. Il bambino ha fame.
 
Questo spettacolo, quando le condizioni tecniche di ciascuna sala teatrale lo rendono possibile, prevede in un momento l’uso dell’odore di ammoniaca. L’ammoniaca, come si sa, è l’ultima trasformazione possibile,  l’ultima fattuale transustanziazione dell’uomo, l’ultima esalazione del corpo umano davanti alla morte: le spoglie dell’uomo si trasformano in gas, in aureola. Il “profumo” dell’uomo. Il suo saluto alla terra.
 
Questo spettacolo – come tutto il Teatro Occidentale che trova fondamento nella bellezza problematica della Tragedia greca – obbedisce alle sue stesse regole retoriche: è antifrastico, utilizza cioè l’elemento estraneo e violento per veicolare il significato contrario.  La violenza qui significa, omeopaticamente, la ricerca e il bisogno di contatto umano; così come allo stesso modo un bacio può significare tradimento. La lezione della Tragedia attica consiste in questo: fare un passo indietro: rendersi disumani per potere meglio comprendere l’umana fragilità. 
 
Questo spettacolo nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. Il libro dell’Ecclesiaste, la Teodicea del Libro di Giobbe, il salmo 22, il salmo 23, i Vangeli. Il libro della Tragedia appoggiato su quello della Bibbia. 
 
Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero che emana – achiropita, non per mano d’uomo – dal ritratto del Cristo. Tutto l’inchiostro delle sacre scritture qui pare sciogliersi di colpo, rivelando una icona ulteriore: quella che scavalca ogni immagine e che ci consegna un luogo vuoto. 
 
Questo spettacolo mostra la tela del dipinto che viene lacerata come una membrana, come un sideramento dell’immagine. Un campo vuoto e nero in cui campeggia luminosa una scritta di luce, scavata nelle tavole del supporto del ritratto: Tu sei il mio pastore. E’ la celebre frase del salmo 23 di Davide. La scrittura della Bibbia ha perso il suo inchiostro per essere espressa in forma luminosa. Ma ecco che quando si accendono le luci in sala si può intravedere un’altra piccola parola che si insinua tra le altre, dipinta in grigio e quasi inintelligibile: un non, in modo tale che l’intera frase si possa leggere nel seguente modo: Tu non sei il mio pastore.
 
La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore? 
Il dubbio di Gesù sulla croce Dio perché mi hai abbandonato? espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questo salto della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce. E allo stesso tempo è sempre lei, la stessa domanda: essere o non essere? 
 
O piuttosto: essere E non essere.
 
Questo spettacolo nasce dalla memoria di mio padre, che ho perso all’età di sedici anni e che non ho mai potuto pulire, accudire, mentre avrei voluto poterlo fare.
 
Questo spettacolo è una bestemmia, come la croce è bestemmia romana, come la corona di spine è bestemmia romana, come Gesù condannato, perché ha bestemmiato. Nel libro dell’Esodo la sola  pronuncia del nome di JHWH è bestemmia. Dante scrive una bestemmia nel canto XXV dell’Inferno. Venerare il volto di Cristo nelle icone era bestemmia eidolatria per i cristiani bizantini prima del Concilio di Nicea. Galileo bestemmia quando dice che la terra gira intorno al sole. 
 
Vedere il proprio padre perdere le feci per casa, in cucina, in salotto è bestemmia.
 
Infine, questo spettacolo non è esatto: questo spettacolo è merda d’artista.
 

 

Il noto teatro Franco Parenti di Milano, presentando lo spettacolo nel 2012, riportava questa nota: «Romeo Castellucci si rivolge ancora una volta a un’icona apicale della storia umana: Gesù, a partire dal quale perfino il tempo si misura per la maggior parte del globo.

Nella performance “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" il ritratto di Gesù parte dalla pittura rinascimentale e in particolare nel momento topico dell'Ecce Homo. In questo preciso istante la tradizione vuole che il Cristo guardi negli occhi lo spettatore in un potente effetto di coinvolgimento drammatico di interrogazione. In questa confusione calcolata di sguardi che si toccano e si incrociano, il ritratto del Figlio di Dio diventa il ritratto dell'uomo, di un uomo, o perfino dello spettatore stesso. E così, nello spettacolo, lo sguardo di Cristo diventa una sorta di luce che illumina una serie di azioni umane, buone, cattive; schifose o innocenti.

"Sul concetto di Volto nel figlio di Dio" non parla di Gesù né di adorazione, non ha un carattere sociale di denuncia e non vuole essere facilmente provocatorio. Romeo Castellucci allo stesso tempo prende le distanze dalla mistica e dalla demistificazione, perché in definitiva si tratta del ritratto di un uomo. Un uomo messo a nudo davanti a altri uomini; i quali, a loro volta, sono messi a nudo da quell'uomo.

 “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, declinato in performance diverse, in opere autonome pur nella tensione a un medesimo orizzonte, prelude a “J”, spettacolo che debutterà al TNB di Rennes nel Marzo 2011.

 “J” impone a partire dal titolo una sigla che sintetizza al massimo grado il nome “Jesus”, Gesù, un nome così presente per milioni di uomini della Terra, da divenire quasi invisibile perché profondamente implicito. Presente al di là della coscienza e della scienza; al di là del sentimento e della storia; essenzialmente e radicalmente presente, a prescindere dalla propria volontà. Un nome, in qualche modo, subìto dal solco di un’esperienza millenaria di riferimenti.

“Sul concetto di volto nel Figlio di Dio” affronta nodi ricorrenti nel teatro della Socìetas Raffaello Sanzio: la religione concepita nel suo humus di simboli e rituali, radice comune al teatro stesso, senza alcuna accezione mistica o teologica». 

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