Brachetti, doppio show a Trento «Comico, poetico e surreale»

Arturo Brachetti, forse il più grande trasformista al mondo, si prepara a conquistare il pubblico trentino con il doppio show «Brachetti che sorpresa», in programma martedì 8 e mercoledì 9 all'Auditorium Santa Chiara. Un centinaio i biglietti ancora a disposizione per uno spettacolo dai toni corali, visto che sul palco accanto all'artista piemontese ci saranno altri protagonisti, come racconta Brachetti all'Adige.

Lei tiene a sottolineare come il suo non sia un one man show ma uno spettacolo corale: le va bene allora il termine di capocomico?

«Sì, capocomico calza a pennello perché si tratta di una creazione mia e di Davide Calabrese con la partecipazione in scena di altri artisti. Si tratta di uno spettacolo corale con sei persone in scena. Al mio fianco c'è Luca Bono , giovane prestigiatore che per me è una sorta di enfant prodige della magia. Rappresenta la parte "infantile" del racconto che portiamo in scena. Poi c'è Francesco Scimemi , un mago-comico romano un tantino ruspante e terra terra che incarna la parte "porcellosa" e terrena e poi ci sono Luca&Tino, definiti da Le Figaro i "Laurel e Hardy italiani", che rappresentano la follia, il non senso, il teatro dell'assurdo. La brigata in scena si completa con l'attore americano di colore Kevin Michael Moore , alias 328328, una sorta di Morpheus, ispirato al film The Matrix».
Che spettacolo è «Brachetti che sorpresa»?
«In questo show mi trovo catapultato con il teletrasporto in un limbo metafisico, dove trovo Moore che è appunto il Morpheus di questo mondo che è una sorta di videogioco della vita. Lui mi dice che sono al livello 3 e che devo salire al livello 4 mettendo insieme tutti i miei pezzi. Solo alla fine capisco che quei frammenti sono le varie parti della mia vita che rappresentano l'infanzia, la parte terrena e quella più pazzerella unite le quali potrei anche diventare maturo. Sempre che io voglia naturalmente».
Quanto è difficile per lei riuscire ancora a stupire?
«La gente è sempre più abituata ai trucchi tecnologici, che si vedono nei video, sul web e anche le realtà tragiche in realtà si vedono quasi fossero appunto un videogioco, perdendo la dimensione con la realtà e questo è terribile. Ma per fortuna quando gli spettatori ti vedono dal vivo ancora si stupiscono e ancora i miei cambiamenti di costume in meno di un minuto fanno un bell'effetto. In questo varietà comico, poetico e surreale ci sono tante cose, tante sorprese e quindi tante occasioni di stupire. Io mi cambio almeno una trentina di volte e fra le curiosità c'è anche il momento in cui propongono un sand painting (disegno sulla sabbia), un'arte inventata negli anni '30 da un disegnatore cecoslovacco di cartoni animati, senza dimenticare un pezzo che prevede luci laser, manipolato e utilizzato durante la narrazione con una serie di muri di luce che io e Moore spostiamo con le mani».
Essere il più grande trasformista del pianeta?
«Beh mi fa sempre un certo effetto sentirmelo dire. Quando incominciai nel '79 ero quasi l'unico e, lo dico sorridendo, ero il migliore del mondo. Poi sono arrivati altri con altre tecniche ed invenzioni, ce ne sono anche di bravi ma la maggior parte li si vede anche su internet o in tv e hanno un repertorio di pochi minuti. Quello che mi pesa è l'aspettativa del pubblico che viene a vedermi che è sempre molto alta. Ho sempre detto che la mia forza è quella di cambiarmi di anima e non solo di costume ogni volta che mi trasformo. Prima avevo paura di essere facilmente copiato ma ora so che tecnicamente posso essere copiato ma non può esserlo la mia anima, la drammaturgia di quello che metto in scena, la mia cultura. Ovviamente mi devo sempre dar da fare per stupire chi sta incollato alla sedia, anche perché nel 2017 voglio tornare con un one man show. Certo se parliamo di tecnica mi cambio in poco più di un secondo e penso che meno di così non si possa fare».
Il suo libro «Tanto per cambiare» è autobiografico?
«La proposta mi è arrivata da Baldini e Castoldi e confesso che all'inizio non ero entusiasta perché non credevo fosse nelle mie corde. Ma poi l'operazione mi ha conquistato ed è nato il personaggio del libro che racconta in parte la mia infanzia».
Che cosa racconta?
«Sono partito dalla mia biografia per creare Renzo, che in realtà è il mio vero nome, mi chiamo Renzo Arturo, un ragazzino magrolino e un po' sfigato che riesce a sottrarsi ai giochi di bullisimo della scuola attraverso le trasformazioni nella Torino degli anni '60. Anch'io ero un piccolo brutto anatroccolo che non si piaceva e veniva deriso. Il Renzo del libro, timido, schivo e pieno di immaginazione si vendica in maniera più spicciola travestendosi anche da maestro o da bidella per colpire i suoi compagni».

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