La ricostruzione

Rapina Gallizioli: ecco come i carabinieri hanno risolto il caso e preso la banda

I banditi traditi dall’auto utilizzata per allontanarsi dopo aver messo a segno il colpo e dalle telecamere. Nelle intercettazioni telefonate e conversazioni in macchina con riferimenti al bottino e alla vittima. Avevano in porgramma nuovi colpi

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di Patrizia Todesco

TRENTO. Traditi dalle telecamere e soprattutto dall'auto «pulita» utilizzata per allontanarsi dopo aver messo a segno il colpo. Dovranno rispondere oggi davanti al giudice Gianmarco Giua del reato di rapina i tre soggetti di origini albanesi arrestati per il colpo alla villa di Eugenio Gallizioli. Un quarto, ricordiamo, è denunciato a piede libero. Le prove raccolte, e contenute nell'ordinanza di custodia cautelare di 9 pagine, sono legate alle immagini delle telecamere che hanno immortalato sia l'auto presa a Gallizioli durante il suo sequestro per recuperare la mola a disco utilizzata per aprire la cassaforte, che l'auto di proprietà della moglie di uno dei presunti rapinatori e utilizzata per la fuga. Inoltre nell'ordinanza sono contenuti stralci di intercettazioni ambientali e telefoniche nelle quali la banda commenta il colpo messo a segno, ma soprattutto ne programma di nuovi. Uno dei presunti rapinatori è rinchiuso nel carcere di Trento, l'altro a San Vittore a Milano e un terzo, quello ritenuto il capo della banda, a Bari.

Le immagini delle telecamere

Nell'ordinanza viene ricostruita tutta la dinamica della rapina. Prima l'irruzione della banda verso le 2 di notte nella villa di via Nedda Falzolgher, poi l'allontanamento di almeno due componenti per recuperare la mola a disco utilizzata per aprire la cassaforte di cui Gallizioli non ha voluto fornire loro il codice. Ed è qui che il gruppetto commette un errore fatale. Utilizzare la Skoda Ottavia della vittima. Le telecamere immortalano l'auto alle 4 e 34 alla rotatoria di immissione alla tangenziale in via Jedin, poi in via Bassano e in via Bellavista, infine alle 4 e 53 il ritorno alla rotatoria. Il collegamento con il cantiere di via Castori è presto fatto: qui aveva lavorato fino a due anni fa il presunto rapinatore Klodian Cesku, 31 anni residente in una casa Itea in piazzetta Agostiniani mentre vi lavorava attualmente Arsild Memaj, classe 2004, anche lui di origini albanesi.

Ma perché la Skoda è così importante nella ricostruzione di quanto accaduto? Perché viene seguito il tragitto della stessa al termine della rapina fino alla facoltà di ingegneria dove l'auto viene abbandonata poco dopo le 6 e 20 del mattino. Qui si trovano delle telecamere direzionate verso via Filippo Manci, strada che da Mesiano consente di raggiungere a piedi via Venezia. E proprio queste telecamere hanno immortalato l'arrivo di una Golf alle 6 e 24 ripartita alle 6 e 27.

Quella stessa Golf che fotografata da altre telecamere pubbliche e private ha permesso di individuare quello che i carabinieri del nucleo investigativo provinciale, militari che hanno portato avanti le indagini fin dal principio, ritengono, sia stato il covo trentino della banda. Un appartamento in Fratelli Fontana dove il "milanese" aveva affittato una stanza in un appartamento condiviso. L'auto, la Golf, al mattino risulta poi essere partita con tutto il gruppo alla volta di Milano dove i quattro si sono fermati fino al 10 per poi dividersi nuovamente.

La sera della rapina

La Golf, visionando tutte le telecamere, viene individuata transitare la sera della rapina alle 23 e 30 alla rotatoria che dalla città sale a Povo. Per gli investigatori la banda si stava avvicinando al luogo della rapina. Probabilmente il gruppo si è appostato fino alle 2, ora dell'irruzione in casa.

La preoccupazione

Dalle intercettazione telefoniche il più preoccupato sembra il presunto rapinatore residente a Trento che teme che dalla targa dell'auto utilizzata e intestata a sua moglie possano risalire a lui. E in effetti così. Quando si è reso conto che Gallizioli ha raccontato tutto ed è stato preciso anche sugli orari si inquieta. «Loro non sono scemi - dice riferendosi ai carabinieri .- guardano le telecamere. Se avessimo lasciato l'auto saremmo potuti andare a piedi».

Il riferimento al bottino

Gli investigatori durante le perquisizioni nelle abitazioni dei vari soggetti non hanno trovato né soldi (300 mila euro quelli contenuti nelle cassaforte) né gioielli (tra cui molti orologi preziosi) ma i carabinieri hanno intercettato più di una frase legata al bottino. Nelle loro chiacchierate fanno intendere che il bottino è stato ingente ma che quei soldi la vittima li guadagna in poco tempo grazie alle sue proprietà immobiliari. Parlando con il «milanese» il trentino commenta così: «Non sai che casino, hanno iniziato a incolpare gli zingari». Poi racconta di confidenze che la vittima avrebbe fatto a terze persone in un bar: «Dice che sarebbe disposto a spendere tutti i soldi per identificare gli autori. Lui che ha tutta piazza Duomo. Dice che se non fosse stato dentro non gliene sarebbe importato niente».

Nuovi colpi in programma

Parlando tra di loro il gruppo pensa a dei nuovi colpi nel Milanese e fa riferimento a commercianti cinesi. «250 mila euro li facciamo. Prenditi un foglio, scriviti tutto. 1,2,3 noi facciamo una croce, questo lo abbiamo fatto. La prossima settimana quando ci dici tu noi veniamo subito». In pratica l'uomo residente in Puglia, ritenuto il capo della banda, ordinava agli altri di individuare gli obiettivi sensibili per i futuri furti e poi organizzava la spedizione.

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