«Caccia, no a regole più leggere e all’abbattimento in deroga di 800 mila uccelli selvatici»
L'appello della consigliera provinciale Lucia Coppola (AVS) che critica la decisione della Conferenza Stato-Regioni: «Passo indietro nella tutela della biodiversità e violazione della Direttiva europea». Protestano e inviano diffide agli enti pubblici anche le principali organizzazioni ecologiste: chiesto l'immediato ritiro di ogni intenzione di attivare deroghe al regime di protezione dopo una iniziativa istituziona condivisa soltanto con i cacciatori
APPELLO Le mangiatoie per ungulati attirano gli orsi: toglierli
TRENTO - Lucia Coppola, consigliera provinciale di Alleanza Verdi e Sinistra, scende in campo contro la decisione della Conferenza Stato-Regioni di autorizzare l’abbattimento in deroga di oltre 800.000 uccelli selvatici, tra fringuelli e storni.
«Ciò - scrive - rappresenta un gravissimo passo indietro nella tutela della biodiversità e una violazione palese della Direttiva Uccelli 2009/147/CE. Si tratta di una scelta irresponsabile che espone l’Italia a nuove procedure di infrazione da parte dell’Unione europea, con pesanti sanzioni economiche e potenziali danni erariali per chi approverà queste deroghe illegittime.
Nel 2023 un europarlamentare verde, Andrea Zanoni, è riuscito a bloccare le cacce in deroga grazie a un lavoro di squadra con le associazioni ambientaliste e animaliste, e a un dialogo costante con i funzionari della Commissione europea e con l’allora commissario all’ambiente Janez Potočnik.
Oggi, invece, il governo Meloni riporta l’Italia indietro di 15 anni, assecondando le pressioni delle lobby venatorie».
La storica esponente dei verdi trentini entra poi nel dettagli delle facilitazioni previste dalla contestata decisione sull'allargamento dell'attività venatoria: «Per il 2025 la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’abbattimento in deroga di 581.302 fringuelli e 230.379 storni, suddivisi tra le regioni italiane in base al numero di cacciatori.
In particolare, al Veneto sono stati assegnati 70.123 fringuelli e 29.842 storni; alla Lombardia 97.637 fringuelli e 41.552 storni; alla Toscana 119.847 fringuelli; al Lazio 83.792 fringuelli e 35.660 storni; all’Umbria 49.795 fringuelli e 21.192 storni; alle Marche 34.608 fringuelli e 14.728 storni; alla Liguria 25.984 fringuelli e 11.058 storni; alla provincia di Trento 12.829 fringuelli; all’Abruzzo 19.317 fringuelli e 8.221 storni; all’Emilia-Romagna 23.062 storni; e alla Puglia 16.256 storni.
La deroga prevista dall’art. 9.1.c della Direttiva Uccelli può essere attivata solo in casi eccezionali, per piccole quantità, e solo se non esistono alternative praticabili.
Inoltre, la Corte di Giustizia Ue ha già condannato l’Italia nel 2010 per l’uso improprio di queste deroghe.
Non si può giustificare la caccia a fringuelli e storni con motivazioni vaghe o con le tradizioni. La Corte europea ha chiarito che la tradizione non può prevalere sulla conservazione dell’avifauna.
Le deroghe richiamate nell’atto della Conferenza Stato e Regioni relative alla lettera c dell’articolo 9 sono uno strumento abusato per troppe volte e per questo censurato da sempre dall’Ue. Il loro utilizzo attuale è pertanto giuridicamente insostenibile.
Chi approverà queste deroghe si assumerà la responsabilità di violare il diritto europeo, con il rischio concreto di una nuova procedura d’infrazione e possibili conseguenti danni erariali a carico dei soggetti che le autorizzeranno a livello regionale e provinciale.
Come Alleanza Verdi e Sinistra ci opporremo in tutte le sedi a questa deriva filovenatoria che calpesta la legalità, la tutela della fauna selvatica e l’articolo 9 della Costituzione italiana che tutela la biodiversità», conclude Lucia Coppola.
Frattanto 4 sigle, rappresentative non solo del mondo ambientalista e animalista italiano, ma anche di quello scientifico e legato alle attività sostenibili in natura hanno chiesto ai ministri dell'ambiente, Gilberto Pichetto Fratin e dell'agricoltura Francesco Lollobrigida di essere ricevute per essere direttamente informate sulle intenzioni del governo in materia di modifiche alla legge per la tutela della fauna e la regolamentazione dell'attività venatoria.
Le associazioni ricordano però che la bozza del provvedimento finora circolata "è stata realizzata e condivisa solamente con il mondo venatorio che rappresenta solo un interesse parziale e subordinato rispetto agli interessi diffusi, riconosciuti come valori fondamentali dall'articolo 9 della Costituzione, di cui le sigle ambientaliste e animaliste sono portatrici".
"La tendenza ad interloquire solo con una delle parti in causa ha peraltro determinato, nel corso dell'attuale legislatura, l'approvazione di modifiche che hanno già portato ripercussioni negative per tutti, oltre all'apertura di una procedura d'infrazione europea (in tema piombo e caccia in periodi di divieto) e una procedura EU Pilot relativa all'assenza di misure efficaci di contrasto al bracconaggio e alla caccia a specie in declino e in periodi di divieto".
Secondo le associazioni, le modifiche proposte nel ddl andrebbero quindi a ridurre ulteriormente le tutele a favore della fauna selvatica, delle aree protette e delle zone fruibili per attività a basso impatto ambientale, come l'ecoturismo e l'agricoltura di qualità, motori importanti di sviluppo sostenibile delle comunità in tutto il Paese.
La Lav fa sapere di aver inviato insieme ad altre associazioni una diffida a Regioni e Province autonome: «Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Toscana, Trento, Umbria e Veneto si preparano a riaprire la caccia a più di 800.000 piccoli uccelli appartenenti a specie protette, come fringuello e storno, attraverso una preoccupante forzatura del sistema delle deroghe previste dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE.
Secondo quanto emerso dalla delibera approvata il 12 giugno dalla Conferenza Stato-Regioni, le amministrazioni regionali si apprestano a distribuire tra loro le cosiddette “piccole quantità” di esemplari cacciabili in deroga, con l'evidente tentativo di ampliare il numero delle specie cacciabili. Un provvedimento che, oltre a sollevare gravi perplessità giuridiche sembra nato per rispondere a logiche elettorali regalando ulteriori spari - e divertimento - ai cacciatori.
Noi di LAV con ENPA, LAC, Legambiente, Lipu BirdLife Italia e WWF Italia abbiamo trasmesso una diffida formale a tutte le Regioni e Province autonome interessate, chiedendo l'immediato ritiro di ogni intenzione di attivare deroghe al regime di protezione, essendo chiaramente assenti i rigorosi presupposti previsti dalla normativa europea.
Non esistono motivazioni oggettive che giustifichino tali deroghe, se non la volontà di mantenere promesse politiche a scapito della tutela della biodiversità. È una deriva pericolosa che molto probabilmente riaprirà nuovi contenziosi con l'Unione europea, con potenziali ricadute economiche sulle amministrazioni e responsabilità personali per gli amministratori coinvolti, ma anche su tutti i cittadini che dovranno pagare le eventuali sanzioni inflitte dall'UE.
L'Italia è già stata condannata dalla Corte di Giustizia dell'UE per un uso improprio delle deroghe, con una delle sentenze (C-573/08) che ha evidenziato gravi criticità nel rispetto dei requisiti richiesti: carenza di motivazioni, reiterazione delle deroghe, mancanza di valutazioni alternative e controlli inadeguati.
Come associazioni ricordiamo che ogni deroga deve rispettare condizioni rigorose: motivazioni precise, assenza di alternative soddisfacenti, modalità selettive e rigoroso controllo. Nessuna di queste condizioni risulta oggi soddisfatta.
Difendere le specie, soprattutto quelle protette non è un optional, ma un obbligo giuridico e morale.
Chiediamo con forza alle Regioni di fare un passo indietro, nel rispetto della legge e della tutela della natura. Chiediamo al ministro dell'ambiente di vigilare affinché le disposizioni della legge nazionale e della Direttiva europea siano rispettat», concludono le associazioni.
LO STUDIO
Gli uccelli specialisti delle alte quote come fringuello alpino, sordone e pernice bianca sono fortemente minacciati dai cambiamenti climatici e dalle alterazioni degli habitat montani causate dall'uomo, come la crescente pressione turistica e le relative infrastrutture.
Lo svela una ricerca nata da una collaborazione tra Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige, Università Statale di Milano, Università di Oulu, Museo delle Scienze di Trento ed Eurac I risultati, appena pubblicati sul Journal of Biogeography, rivelano uno scenario preoccupante per una specie particolarmente rappresentativa delle aree aperte d'alta quota, il fringuello alpino.
Un punto cruciale per valutare le loro possibilità di sopravvivenza a lungo termine è rappresentato dalla possibilità di scambiare individui (e quindi geni) tra zone riproduttive diverse. In base ad analisi genetiche basate su decine di esemplari provenienti da varie aree riproduttive in Trentino-Alto Adige e Lombardia, è emerso che in questo settore delle Alpi, molti individui rimangono a riprodursi proprio nell'area dove sono nati: hanno quindi una scarsa propensione a disperdere, cosa che limita il flusso genico e la connettività di popolazione. Inoltre, sono stati osservati alti livelli di inincrocio: il 20% degli individui campionati è nato infatti da genitori imparentati tra loro almeno a livello di cugini di primo grado, se non addirittura più strettamente.
"Questi alti livelli di inincrocio sono particolarmente allarmanti, perché possono portare all'espressione di mutazioni recessive deleterie, diminuire la probabilità di sopravvivenza degli individui e il loro successo riproduttivo", commenta Francesco Ceresa, ornitologo del Museo di Scienze Naturali dell'Alto Adige e primo autore dello studio.
"Gli uccelli specialisti delle alte quote sono un vero e proprio termometro di quanto sta accadendo negli ambienti di alta montagna", spiega Petra Kranebitter, coordinatrice dello studio e conservatrice della sezione di zoologia del Museo di scienze naturali dell'Alto Adige. Mattia Brambilla, ecologo del dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell'Università degli Studi di Milano e co-autore del lavoro, sottolinea come questi risultati "aggiungano ulteriori elementi al complesso mosaico di effetti dei cambiamenti climatici sulle specie d'alta quota".