Amministrazione

Non timbra l’uscita per 281 volte: caduta l'accusa di essere una «furbetta del cartellino»

C'è voluto l'Appello per scagionare la dipendente di un piccolo comune trentino dalle accuse, dopo che il giudice in primo grado l'aveva condannata a dieci mesi e 600 euro di multa. Ecco perché

TRENTO. Per 281 volte era stata vista allontanarsi dall'ufficio senza timbrare l'uscita, pari a circa 60 ore di assenza ingiustificata. Ad accusare la donna, dipendente di un piccolo Comune del Trentino, non c'era solo la testimonianza del segretario, che l'aveva "tenuta d'occhio" per un anno e mezzo: le telecamere di sicurezza dell'amministrazione hanno registrato le uscite non autorizzate (meglio: non "timbrate"); i relativi filmati hanno contribuito a rendere più solida l'accusa. Ma non sempre ciò che si vede corrisponde alla realtà dei fatti. Infatti la dipendente comunale, accusata di essere una "furbetta del cartellino", è stata assolta con formula piena "per non aver commesso il fatto".

C'è voluto l'Appello per scagionarla dalle accuse, dopo che il giudice in primo grado l'aveva condannata a dieci mesi e 600 euro di multa. Vero è che usciva spesso dall'ufficio senza timbrare, ma è errata la tesi che facesse ciò per lavorare di meno, creando un danno anche economico all'amministrazione. Come ha evidenziato la difesa, la donna svolgeva gran parte della sua attività fuori dalla sede comunale, dunque la sua assenza dall'ufficio non significava automaticamente un'interruzione del suo lavoro.

Per la peculiarità delle mansioni non aveva neppure l'obbligo di essere autorizzata, tanto che nulla le era mai stato contestato dal sindaco o dai superiori quando capitava che la incontrassero in paese e addirittura fuori dal paese, nei casi in cui - per motivi di servizio, trattandosi di una gestione associata di Comuni - consegnava i documenti presso altre sedi municipali o sistemava le affissioni all'albo.

Tra i testi portati dalla difesa (la donna è assistita dagli avvocati Attilio Carta e Stefano Tomaselli) c'è un ex sindaco che ha evidenziato che, trattandosi di un piccolo comune, in passato accadeva spesso che i dipendenti aiutassero i cittadini anche fuori dall'orario di lavoro. Nel caso specifico, gli avvisi oltre che affissi all'albo venivano portati dalla dipendente anche al bar e in cooperativa in modo che tutti avessero la possibilità di leggerli. Insomma, rientrava fra le mansioni della donna uscire dall'ufficio per svolgere attività per conto della gestione associata. Altri testimoni hanno riferito che la dipendente spesso si spostava per lavoro con la propria auto anziché quella di servizio, utilizzata dai tecnici.

La battaglia in tribunale non è stata facile per l'imputata, incensurata, e neppure è stata veloce. I fatti contestati, infatti, risalgono al 2019-2020. In primo grado, nel maggio 2023, c'era stata la condanna a 10 mesi con rito abbreviato, pena più severa rispetto a quanto chiesto dal pubblico ministero, ossia 8 mesi e 20 giorni. L'accusa era di aver omesso di timbrare il cartellino all'uscita in circa 281 occasioni: «Induceva, così, in errore l'Ente pubblico circa la sua effettiva presenza e, conseguentemente, otteneva complessivi 1.208,45 euro elargiti dal Comune a suo favore per l'attività lavorativa non svolta». L'indagine era partita da due esposti, presentati dal segretario comunale e dall'allora sindaco.

Nelle motivazioni della condanna il giudice aveva ritenuto «chiaro» come l'imputata avesse causato un danno all'amministrazione e realizzato un profitto, «seppure entrambi di minima entità». La Corte d'appello ha valutato diversamente la vicenda e ribaltato la sentenza di primo grado: l'imputata è stata assolta.

comments powered by Disqus