Territorio / L’intervista

Il presidente dei geologi trentini: “Da noi come in Emilia Romagna? I rischi si possono mitigare, non annullare”

Mirko Demozzi: “Fondamentali i lavori di manutenzione, controllo e miglioramento delle opere esistenti. In regione abbiamo un'attenzione altissima non solo per quanto riguarda gli argini dell'Adige, ma anche verso tutti gli altri corsi d'acqua presenti sul nostro territorio. Torrenti più difficili da gestire”

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di Patrizia Todesco

TRENTO. Le immagini che arrivano dall'Emilia e dalla Romagna sono un pugno allo stomaco. L'acqua che arriva al secondo piano delle abitazioni, le strade trasformate in torrenti, le migliaia di evacuati. E la domanda che molti si pongono è: se tutta quella pioggia fosse caduta in Trentino cosa sarebbe successo? Avremmo avuto gli stessi problemi?

Mirko Demozzi è presidente dei geologi del Trentino Alto Adige. Circa 200 professionisti che lavorano anche sul fronte della prevenzione. «Quello accaduto in Romagna è stato sicuramente un evento importante, con una gran quantità di pioggia in pochi giorni, si parla di 200-250 millilitri in 36 ore nei soli giorni del 16-17 maggio. Difficile capire il risultato di questi eventi sul nostro territorio. Noi abbiamo un'orografia ed un reticolo idrografico completamente diversi rispetto all'Emilia Romagna. Abbiamo un aspetto morfologico e geologico diverso. In Romagna prevale la pianura con fiumi e canali con un regime idraulico più lento, nonché l'influenza del mare, che può o meno accettare l'acqua. L'Appennino, da cui partono i torrenti che poi alimentano i canali ed i fiumi in Romagna, è formato prevalentemente da materiale più soffice e facilmente erodibile.

Gli aiuti trentini nelle zone alluvionate in Emilia Romagna, la visita di Fugatti

Oggi, 19 maggio, il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, è arrivato in Emilia Romagna per una visita al personale della missione trentina che sta contribuendo agli aiuti alle popolazioni colpite dall'alluvione. Nelle foto, Fugatti durante un sopralluogo nella zona di Lugo, e alcuni momenti delle attività che vedono il personale trentino distribuire acqua e pasti utilizzando un mezzo anfibio della Protezione civile [foto: Provincia autonoma di Trento]

L'idrografia in Trentino è invece caratterizzata da corsi d'acqua con energia più elevata, non abbiamo l'influenza del mare e abbiamo un substrato geologico formato da terreni più grossolani o da rocce massicce come la dolomia ed i calcari. Mentre infatti le Alpi sono una catena che potremo definire matura, gli Appennini sono più giovani e soggetti ad un tasso di erosione più elevato. Dal punto di vista meteo può succedere un evento come quello accaduto in Romagna, ma andare a prevedere i danni che potrebbe portare è davvero difficile».

L'Adige, i cui argini dopo le alluvioni sono stati rinforzati, ha ancora delle zone a rischio?

L'Adige, sia in provincia di Bolzano che Trento, in particolare dopo l'alluvione del 1966, è sempre stato un fiume attenzionato e gli argini sono stati via via sempre più rinforzati. I Servizi tecnici provinciali hanno in essere un programma per la prosecuzione del potenziamento degli argini. Tutti gli anni vengono effettuati interventi di manutenzione e di rinforzo.  É necessario però che noi, come società, impariamo ad essere resilienti nei confronti degli eventi meteo anche con tempi di ritorno molto alti, che hanno una magnitudo impressionante e quindi appare difficile capire come gli interventi fatti riescano a mitigare il fenomeno. Per alcuni settori dell'edilizia, delle infrastrutture e sull'idraulica (sistemazione torrenti) al giorno d'oggi si lavora per tempi di ritorno di 30, ma anche di 100-200 anni.

Cosa vuol dire tempo di ritorno di 30 anni? Che l'evento succede con più frequenza ma con una magnitudo inferiore. Quello che succede ogni 200 anni è più raro, ma ha una magnitudo molto più alta. Per l'Adige e per gli scenari ad esso connesso si lavora anche su tempi di ritorno di 200 anni, quindi eventi con impatto molto forte.

Se guardiamo le zone a rischio, è più probabile che l'Adige rompa gli argini in città per fare ritorno nel suo letto originario o altrove?

Di solito l'acqua dei fiumi e dei torrenti quando esonda cerca la via più semplice. Per cui un argine debole, privo di manutenzione o dissestato, è più soggetto all'erosione della corrente e quindi ad agevolare l'eventuale esondazione quando raggiunge il punto di rottura o collasso. In ogni caso i rischi collegati alle alluvioni, alle frane, alle cadute massi sono derivati da eventi naturali che noi non possiamo fermare e non possiamo quindi ridurre a zero.

Noi possiamo mitigare i rischi collegati all'evento e per questo sono importanti i lavori di manutenzione, controllo e miglioramento delle opere esistenti. Solo così si possono riuscire a mitigare eventi disastrosi. In regione abbiamo un'attenzione altissima, non solo per quanto riguarda gli argini dell'Adige, ma anche verso tutti gli altri corsi d'acqua presenti sul nostro territorio.

Negli ultimi anni i problemi maggiori sono arrivati dalle colate detritiche legate ad eventi meteo rapidi, localizzati ma molto intensi, penso ad esempio alla val di Fassa lo scorso anno.

Esatto. I torrenti sono più difficili da gestire perché oltre ad avere la forza della corrente, riescono a trasportare volumi importati di detriti. Dopo Vaia sono stati fatti tanti interventi di pulizia dei torrenti perché, qualora dovesse scendere una quantità di acqua consistente, se il torrente non è pulito i tronchi ed i detriti possono fare il cosiddetto "effetto diga" che, cedendo, dà il via ad una colata detritica ricca di materiale in sospensione (anche massi e blocchi rocciosi).

Nonostante i lavori di prevenzione lei dice che il rischio zero non esiste. Ma ci sono comportamenti che possono aggravare la situazione?

L'Italia e il Trentino sono un territorio occupato dall'uomo sin dall'antichità. Abbiamo iniziato a costruire strade e villaggi ancora in epoca romana in posti che in quel momento sembravano sicuri, proprio per i tempi di ritorno a cui sono soggetti gli eventi meteo. Poi i nostri territori, le nostre città ed infrastrutture si sono via via ampliate e sviluppate e per questo sono stati parallelamente necessari numerosi interventi di mitigazione.

Per garantire al meglio la mitigazione dell'evento, oltre che alle opere di protezione, sono state quindi inserite norme sulla pianificazione, come ad esempio la Carta di Sintesi Geologica, sul monitoraggio del territorio (ad esempio il monitoraggio delle frane a cura del Servizio Geologico) ed infine le procedure operative d'intervento e protezione in caso di calamità (i Piani di Protezione Civile). Tutti aspetti che cercano di mitigare il rischio legato all'evento in corso.

Non direi che si possa parlare di "errori", è che anche la nostra provincia nei passati decenni ha visto un aumento di popolazione e di infrastrutture e quindi l'iterazione tra eventi naturali e presenza umana è ovviamente diventata potenzialmente più frequente. Ad esempio, se 100 anni fa un evento avesse interessato una valle delle nostre Alpi, la possibilità di investire e danneggiare infrastrutture o insediamenti era bassa, se non remota. Oggi, lo stesso evento ha una possibilità estremamente maggiore di interrompere o danneggiare infrastrutture o insediamenti umani. Gli eventi, i tempi di ritorno a loro collegati e l'aumento dell'urbanizzazione entrano in collisione creando un mix pericoloso, ma che noi dobbiamo saper mitigare.

Dalla Carta di Sintesi della Pericolosità emergono però zone ad alto rischio. Quali sono?

Sono quelle classificate in rosso con pericolosità H4 (pericolosità elevata). Si tratta ad esempio di aree sotto le pareti rocciose e quindi con alto rischio di caduta massi, lungo i corsi d'acqua o lungo i loro argini per possibili tracimazioni, oppure su aree in frana attiva. Ma già all'esterno di queste aree la pericolosità diminuisce gradualmente.

Quindi in sintesi per ridurre ulteriormente i rischi cosa si potrebbe fare?

Uno, come d'obbligo nazionale, aggiornare frequentemente i piani di protezione civile comunale. Due, costruire infrastrutture guardando i pericoli geologici, morfologici ed idraulici connessi anche con tempi di ritorno lunghi, perché i climatologi dicono che il clima sta cambiando e di questo dobbiamo tenerne conto. Infine proseguire con le manutenzioni, anche perché dobbiamo considerare che il nostro territorio è in continua evoluzione. Non dobbiamo leggere il territorio come qualcosa di statico o immutabile, ma come un ambiente, una morfologia sempre in evoluzione.

La Pianura Padana si è creata e modellata in centinaia di migliaia di anni proprio perché i suoi corsi d'acqua periodicamente esondavano; da noi invece gli agenti esogeni come le piogge, il ghiaccio erodono il terreno e lo modificano e noi abbiamo il dovere sempre di rincorrere questo cambiamento (inarrestabile) garantendo monitoraggi, manutenzione, migliorie e limitando il consumo del suolo.

Quanto successo, dicono gli esperti, è in parte dovuto al fatto che le casse di espansione sui fiumi sono state realizzate in Emilia ma non in Romagna. Da noi come è la situazione?

Sono stati fatti numerosi lavori ed interventi lungo i corsi d'acqua, sia a Trento che a Bolzano. Abbiamo realizzato, tra le principali opere: briglie di trattenuta e consolidamento, scolmatori, drenaggi, cunettoni, ricostruito alvei, rinforzato argini ed opere spondali, piazze di deposito.

Sapere se sono sufficienti non sarà mai possibile, dipende dall'evento che arriverà, ma in ogni caso sono interventi fondamentali e necessari per inserire quel grado di mitigazione che spesso evita il succedersi di eventi che potrebbero arrecare danni alle infrastrutture ed edilizie, anche con perdita di vite umane.

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