Legalità / I dati

Estorsioni e usura, allarme nel turismo. La relazione mai resa nota

Non è mai stata resa pubblica la relazione finale sulle attività del Gruppo di lavoro in materia di sicurezza, costituito nel 2012 dalla giunta provinciale guidata da Lorenzo Dellai e sciolto nel novembre 2021, dopo l'accordo tra la giunta Fugatti e la Procura di Trento per lavorare “sulla prevenzione e il contrasto ai fenomeni criminali”. Il rapporto rende conto degli approfondimenti svolti tra il 2019 e il 2021. Le interviste a 951 imprenditori

di Giorgia Cardini

TRENTO. Finita in un armadio, mai resa pubblica. Nonostante riportasse dati significativi e anche inquietanti. È la relazione finale sulle attività del Gruppo di lavoro in materia di sicurezza, costituito nel 2012 dalla giunta provinciale guidata da Lorenzo Dellai e sciolto nel novembre 2021, dopo l'accordo tra la giunta Fugatti e la Procura di Trento per lavorare - in modo diverso - «sulla prevenzione e il contrasto ai fenomeni criminali».

Peccato, però, che in quella relazione - che dava conto degli approfondimenti svolti tra il 2019 e il 2021 - ci fossero elementi che indicavano chiaramente come la presenza di fenomeni infiltrativi non fosse solo connessa al settore del porfido, e all'inchiesta "Perfido" partita da Lona Lases, ma anche al settore del turismo, ricchissimo e vitale per l'economia trentina. Facendo seguito alla prima relazione presentata nel 2018 (con report sui trasporti, il commercio all'ingrosso, le attività finanziarie), tra 2019 e 2021 l'attività del Gruppo è andata dalle audizioni dei sindaci di 27 comuni trentini, grandi e piccoli, a un focus sui controlli provinciali sul settore del porfido alla luce dell'inchiesta Perfido già in corso, fino a una indagine per capire la percezione del fenomeno nel settore ristorativo e recettivo. Ed è qui che il campanello è suonato forte.

Esercenti "allarmati". Tramite una società fiorentina, l'Ispat (Istituto di statistica della Provincia autonoma di Trento) ha condotto tra il 2 e il 20 luglio 2019 una indagine che ha raggiunto 951 imprese, 417 per il settore ricettivo e 533 per la ristorazione. Il 2,3% degli intervistati (22) ha risposto che i fenomeni riconducibili alla presenza della criminalità organizzata sono "molto diffusi", il 15,6% (148) "abbastanza diffusi", il 52,8% poco diffusi. Ma il 19,5% (185) ha ammesso la presenza di fenomeni di estorsione (pizzo e racket), mentre l'11,6% (110) anche l'esistenza della pratica dell'usura. E 30 intervistati (3,2%) hanno dichiarato di conoscere persone che hanno ricevuto pressioni intimidatorie per la concessione o la restituzione di un prestito, mentre altri 79 (8,3%) hanno detto di conoscere persone che hanno subito danneggiamenti o intimidazioni negli ultimi tre anni. Pochi mesi dopo l'indagine, a Pinzolo, il sequestro dell'ex Hotel da Cornelio, per gli inquirenti acquistato con soldi riciclati.

Sindaci e cittadini "ignari". Ma nessuno dei sindaci sentiti ha segnalato al gruppo alcunché. A emergere dalle loro audizioni sono state solo problematiche legate a reati per così dire "ordinari" nei centri più grandi: prostituzione, spaccio e consumo di droghe e alcol, furti e atti vandalici. Sedici le audizioni fatte nel periodo febbraio - giugno 2019, undici quelle condotte tra febbraio e marzo 2021: nella prima tranche i sindaci di Trento, Rovereto, Riva del Garda, Cavalese, Pergine Valsugana, Borgo Valsugana, Andalo, Dimaro, Folgarida, Mezzolombardo, Canazei, Ala, Moena, Mezzocorona, Pinzolo, Predaia e Cles; due anni dopo quelli di Fornace, Lona-Lases (il comune stravolto dall'inchiesta Perfido), Albiano, Malè, Folgaria, Arco, Tione, S. Martino di Castrozza, Grigno, Levico e Storo.

Una grave dicotomia. «Rilevante», da queste audizioni, «il fatto che non vi sia percezione della presenza di criminalità organizzata da parte della collettività», si legge nella relazione: una «grave dicotomia» con quanto emerso dalle indagini pendenti presso la Procura di Trento.

La mafia c'è. Ma «la pendenza di procedimenti penali nei quali l'imputazione mossa ai soggetti indagati riguarda appunto la criminalità organizzata e le infiltrazioni di stampo mafioso, costringe ad abbandonare l'idea consolatoria della impermeabilità del territorio trentino a questo fenomeno. Inoltre, induce a chiedersi le ragioni della difficoltà della sua rilevazione e diagnosi». E qual è la risposta? «L'approccio dell'infiltrato col territorio trentino e la sua ricchezza non è avvenuto con modalità violente ma con l'inserimento nella vita della comunità locale».

L'infiltrato non è uno che spara. «Può essere il consulente finanziario incaricato della scelta degli investimenti, il manager che si occupa del rifornimento di un supermercato acquistato col riciclaggio di capitali provenienti dallo spaccio della droga». Perché «con l'investimento di capitali di provenienza illecita, l'infiltrazione si è già verificata». Ma questo fenomeno è difficile da riconoscere e per questo i controlli dovrebbero avvenire «in modo coordinato e integrale» (cosa assente anche nel settore del porfido) con la rilevazione dei cosiddetti "reati spia"» e la massima attenzione alla provenienza dei capitali investiti, tenendo gli occhi aperti sulle aziende in difficoltà, più esposte ai denti dei lupi.

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