Niente permesso di soggiorno per lavoro per il nigeriano condannato per droga
È trafficante, via dall’Italia. L’uomo era stato condannato a 3 anni di reclusione e 14 mila euro di sanzione per aver commesso, in concorso con altri soggetti, il reato di detenzione trasporto illecito di sostanze stupefacenti, con l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni
TRENTO. Dopo il carcere ha cercato lavoro. Terminato il lungo periodo detentivo l'uomo, di origine nigeriana, si è messo subito alla ricerca di un'occupazione. Forse era già in parola con qualcuno, perché quando ha presentato alla questura la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno ha specificato che era per motivi di lavoro subordinato. Che fosse una manifestazione di buona volontà o solo una scusa per evitare il rimpatrio, questo lo sa solo il diretto interessato.
La questura prima e il Consiglio di Stato poi hanno analizzato la richiesta dal punto di vista della legge e l'hanno respinta. Motivo? Non è ammesso in Italia, così dice la norma, lo straniero «che si considera una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato», ad esempio a seguito di condanna per reati in materia di stupefacenti. Ed infatti il nigeriano era stato condannato a 3 anni di reclusione e 14 mila euro di sanzione per aver commesso, in concorso con altri soggetti, il reato di detenzione trasporto illecito di sostanze stupefacenti, con l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e la misura di sicurezza dell'espulsione dallo Stato.
La sentenza della Corte d'appello di Trento del 5 febbraio 2020 è divenuta irrevocabile il 24 giugno 2020. L'uomo un anno dopo, nel dicembre 2021, aveva presentato alla questura di Roma la richiesta - che è stata respinta - di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Si è poi rivolto al Tar del Lazio evidenziando che l'espulsione è stata un automatismo e dunque potrebbe essere un errore.
Anche questo ricorso è stato respinto. Il nigeriano si è giocato anche l'ultima carta a sua disposizione, il ricorso al Consiglio di Stato, ma non gli è andata meglio. Innanzitutto viene evidenziato che c'è una giurisprudenza consolidata in merito al significato di pericolosità sociale di uno straniero: la valutazione è stata effettuata "a monte" dallo stesso legislatore e dunque «non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero».
Ci sono però delle eccezioni, ad esempio si tiene in considerazione la presenza di familiari nel territorio da cui lo straniero deve essere espulso. Anzi, si va un po' più in profondità tenendo conto «della natura e della effettività dei vicoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine», nonché dal periodo passato in Italia. Il Consiglio di Stato, Sezione Terza, nel respingere il ricorso del nigeriano è partito da un dato di fatto: la condanna dell'uomo per stupefacenti, ossia un reato ostativo all'ammissione di uno straniero in Italia e alla regolarizzazione della sua posizione.
Lo stesso questore, nel negare il rinnovo del permesso di soggiorno, aveva evidenziato che il reato commesso dall'uomo «è tale da far ritenere che frequenti abitualmente le organizzazioni criminali dedite al traffico di stupefacenti e che parte del su sostentamento sia provento di attività criminose». Il nigeriano non avrebbe inoltre alcun legale familiare in Italia, né figli minori a carico. Così si legge nella sentenza: «La vincolatività dell'atto (il provvedimento di diniego del questore, ndr) in presenza di condanne ostative e in assenza di legami familiari sul territorio nazionale non permette, pertanto, di valorizzare la posizione lavorativa dello straniero».