Politica / Al voto

Il Partito democratico trentino al bivio tra Alessandro Betta e Alessandro Dal Ri

Domenica 26 febbraio gli elettori del Partito democratico potranno scegliere in 46 seggi sia il segretario nazionale, tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, sia quello provinciale. Entrambi puntano ad allargare l’alleanza sondando anche Onda e Cinquestelle

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di Luisa Maria Patruno

TRENTO. Sono diversi, come carattere e come idea di partito. In più non si amano. Lo si capisce da come si rapportano e dalle asprezze nel faccia a faccia a cui hanno partecipato mercoledì 22 febbraio in redazione all'Adige. Alessandro Dal Ri e Alessandro Betta sono in corsa per la segreteria provinciale del Pd sottoponendosi alle primarie alle quali domenica potranno partecipare non solo gli iscritti ma anche gli elettori che si recheranno in uno dei 46 seggi allestiti dal partito in tutto il Trentino per esprimere il loro voto.

L'unica cosa che unisce Betta e Dal Ri è il sostegno di entrambi a Stefano Bonaccini come leader nazionale. Nella stessa giornata di domenica, infatti, gli elettori potranno scegliere anche il segretario nazionale del partito, tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, E proprio la sovrapposizione del congresso nazionale, con il quale il Pd si gioca la sua stessa sopravvivenza, a quello locale, potrebbe forse riuscire essere motivo di maggiore richiamo in una competizione per la quale si teme soprattutto la grande disaffezione del «popolo delle primarie».

Alle primarie del 2019 parteciparono oltre 10.000 persone in Trentino. Vista l'aria che tira si parla di rischio flop. Voi quante persone pensate che verranno questa volta?
Betta: che ci sia disaffezione al voto è palese, però il Pd resta un partito radicato e in queste settimane girando il Trentino gente ne abbiamo vista e anche il tesseramento è arrivato a 900 iscritti quindi mi aspetto di reggere. Se fossero 4-5.000 persone sarebbe già buono.
Dal Ri: la regola dovrebbe essere che venga alle primarie un terzo dei nostri elettori alle politiche (oltre 58.200 Ndr.) anche se tra questi ci sono stati i voti di Campobase e Futura. Difficile leggerlo.

Alle Regionali in Lazio e Lombardia si ritiene che non siano andati a votare soprattutto gli elettori di centrosinistra, perché il Pd era più concentrato sulle primarie che sulle elezioni. Pensate anche voi che il Pd debba recuperare sul fronte della disaffezione al voto e come?

D.
È fisiologico che un partito che concentra tutte le sue energie per la battaglia congressuale poi non ne abbia per la campagna elettorale. Quindi l'elettore che guarda al Pd non vede qualcosa di definito ed è difficile attrarre. Ma il calo di affluenza non riguarda solo il centrosinistra. Certo, il centrosinistra andando separato e con liti interne non suscita l'entusiasmo che si ha nel potercela fare, che oggi è possibile tenendo uniti tutti dal Terzo polo ai 5 Stelle. Si è visto alle ultime Politiche cosa è successo, fallita l'alleanza e la possibilità di vincere, si è fatta una battaglia identitaria con persone che non ci credevano e non si muovevano. In più c'è il problema dell'assenza di partiti, se consideriamo che il Pd è l'ultimo rimasto. Sono stati demonizzati e la politica ridotta a leaderismo puro e alla logica "proviamo questo qua", partita con Berlusconi, Renzi, i 5 Stelle e Meloni. Va recuperata la dimensione dei partiti se vogliamo che la democrazia torni a funzionare.

B. Se poche persone vanno a votare è perché c'è sfiducia. L'ultimo governo eletto, tolta la Meloni, è stato quello di Berlusconi con lo spread a 500, poi noi abbiamo governato in esecutivi tecnici di responsabilità e abbiamo fatto perdere fiducia ai cittadini perché non abbiamo potuto fare le nostre politiche. A questo si è aggiunta la mancanza di rispetto interpersonale che si è sviluppato nella politica e alla fine nel cittadino cresce una sfiducia globale e non va a votare. Il congresso nazionale del Pd è un momento importante. Nelle ultime ore la De Micheli si è schierata con Bonaccini in modo coerente, mentre Cuperlo ha lasciato libertà. Poi c'è Schlein. Siamo l'unico partito che chiama gli elettori a scegliere. Per me la linea di Bonaccini è chiara e le sue parole sono musica.

Parliamo di alleanze. In vista delle elezioni provinciali, che coalizione dovrebbe riuscire ad avere il centrosinistra per essere competitivo?
B. Il programma deve essere la base della coalizione. Sono convinto che noi con Fratelli d'Italia non ci possiamo andare, ma tolto questo e il Patt, che ha scelto Fugatti, forse perché non ha mai digerito la vicenda Rossi - e per me fu un errore non confermare Rossi - chiederei se quelle 11 sigle che si siedono al tavolo della coalizione sono 11 liste. Se sono solo 3 si dovrebbe essere preoccupati. Il Pd non ha problemi a fare la sua lista, di tutti gli altri bisogna capire che consistenza hanno, perché dall'altra parte ci sono Fratelli d'Italia, Lega, La Civica, la lista Spinelli, il Patt. Dunque non è facile. Il presidente uscente parte in vantaggio. Io non chiudo neanche a Onda di Degasperi e ai 5 Stelle. Siamo aperti a chi vuole partecipare, come Laura Scalfi. Ben venga. E per questo serve un candidato presidente che sappia interpretare la sfida per provare a vincere.

D. Lazio e Lombardia ci insegnano che separati siamo perdenti in partenza e non ha quasi senso presentarsi. In Trentino l'unica possibilità che abbiamo per vincere è presentarci uniti. Riguardo ai 5 Stelle qui hanno una percentuale molto più ridotta rispetto al Lazio, ma il tavolo lo terrei aperto anche se da parte loro nota molta aggressività nei nostri confronti. Comunque il nostro tavolo deve restare aperto a tutti coloro che ci stanno. Ma soprattutto consolidare l'Alleanza democratica per l'autonomia che alle Politiche ha ottenuto un risultato incoraggiante vincendo a Trento con Patton e quasi pareggiato a Rovereto. Questo ci insegna che la partita non è persa. Nel governo Fugatti non c'è competenza ed è stato molto divisivo tra valli e città, pubblico e privato, comuni grandi e piccoli. La nostra proposta cercherà di unire.

Con un candidato targato Pd?
D. La questione del candidato presidente è quella che più ci divide con Alessandro. Perché noi diciamo: imporre le primarie oggi vuol dire imporre il candidato del Pd, perché è vero che nel 2013 ci siamo suicidati, ma c'erano Patt e Upt strutturati, mentre oggi il Pd è strutturato ma Campobase è un contenitore che andrà a costruirsi, Casa Autonomia anche e poi ci sono Terzo polo e Verdi, Non credo sia la strada migliore per tenere insieme la coalizione. Dobbiamo invece interpretare la nostra vocazione maggioritaria facendo da federatori aggregando queste forze e aiutandole presentandoci con liste diversificate e numerose. Il candidato presidente va individuato insieme al tavolo. Se non riusciremo in tempi decenti a tirarlo fuori allora dovremo ricorrere alle primarie.

B. Il percorso congressuale che stiamo facendo è importante, perché stiamo andando in giro, tra la gente sul territorio, senza chiuderci. Il candidato presidente non deve avere paura delle primarie. Riallacciare rapporti con le persone è utile per vincere le elezioni. Chiamare persone permette di avere liste ricche. Le primarie non sono un'imposizione ma sono utili alla coalizione. Calenda dice che farà un nome, così è giusto che lo faccia anche il Pd, è una opportunità. Io non vedo emergere figure di leadership come è riuscito a fare Ianeselli su Trento.

Quando va scelto il nome?
D. Per me il prima possibile.
B. Si vedrà al tavolo della coalizione.

Ma già dire il Pd fa il suo nome è un problema perché non c'è. O lo avete?
D. Il Pd ne ha tanti di nomi. La direzione del Pd si troverà e lo porterà al tavolo. Un nome ci sarà, ma si vedranno le disponibilità delle persone.
B. Sempre detto che ci sarà un nome del Pd.

Ci sarà un Patton versione dem?
B. Io ho sempre detto che ci voleva un nome del Pd sul Senato.
D. C'era Olivi e si è tirato indietro.B. Se ci fosse stata la coalizione si sarebbe candidato. Se no bastava mettere a Trento Italo Gilmozzi o Alessandro Andreatta.

Se c'è un nome del Pd magari alcuni in coalizione potrebbero non starci, non pensate?
D. Il problema del nome targato Pd, magari che ha fatto il consigliere provinciale per 15 anni, su certi territori passa meno. È più difficile da "vendere" come prodotto. Può essere che ci sia un nome di area anche se non di partito.
B. Il segretario eletto e l'assemblea sceglieranno, dopo aver ascoltato le persone. Noi dobbiamo dare un nome del Pd alla coalizione, non posso stare a un tavolo dove non mi rispettano.

D. La Maestri dice sempre che a lei un nome del Pd nessuno glielo ha portato, tanto che era pronta a proporli tutti.
B. Era lei la segretaria. Io l'avevo sostenuta, poi non sono più riuscito perché non ho condiviso la sua linea troppo debole e attendista. Io ho un'idea diversa di partito.

Veramente Maestri più che attendista voleva chiudere a gennaio sul nome.
B. Probabilmente non come avremmo voluto.

La prima cosa che farete da segretario?
D. Una mobilitazione forte e più visibile sul tema della sanità, anche in piazza, perché la situazione in Trentino è inaccettabile.
B. Anche per me l'emergenza è la sanità, insieme alla scuola. Dovremo fare i gazebo fuori dagli ospedali per ascoltare le persone. Bonaccini a livello nazionale farà i gazebo per raccogliere le firme sul salario minimo.

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