Inchiesta / Il processo

Perfido, gli imputati sono liberi cittadini: stop a carcere ed arresti domiciliari

La Corte d’Assise ha accolto la richiesta delle difese: disposto “solo” l’obbligo di dimora o di firma. Tra gli altri torna a casa anche Giuseppe Battaglia, ex assessore a Lona Lases

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TRENTO. Nel processo Perfido sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Trentino, gli imputati che hanno scelto il dibattimento potranno essere in aula per assistere all'udienza della prossima settimana. Lo potranno fare come liberi cittadini, senza essere accompagnati dalle forze dell'ordine.

La Corte d'Assise, presidente Carlo Busato, accogliendo le richieste delle difese venerdì 3 febbraio ha disposto la scarcerazione di Innocenzio Macheda (ritenuto il capo della "locale" della 'ndrangheta in Trentino) dei fratelli Pietro e Giuseppe Battaglia (quest'ultimo assessore esterno a Lona Lases), di Demetrio Costantino e Domenico Ambrogio (considerati dagli investigatori del Ros esponenti di rilievo della "locale" trentina), di Antonino Quattrone, Mario Giuseppe Nania, Giovanni Alampi; disposta la liberazione anche di Giovanna Casagranda e Vincenzo Vozzo, che si trovavano ai domiciliari.

Per gli imputati sono stati disposti l'obbligo di dimora e l'obbligo di firma. Sono passati due anni e mezzo dall'esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare (era l'ottobre 2020) e la attenuazione delle misure, che consentirà agli imputati di lasciare la cella per tornare - nella maggior parte del casi - nella casa familiare, è controbilanciata dal divieto per gli stessi di allontanarsi dal luogo di abitazione dalle 20 alle 8, salvo esigenze di lavoro e di cura da valutare.

Le difese non esultano, anche perché la strada è ancora lunga, ma è indubbio che si tratta di un passo in avanti importante. Si tratta pur sempre dell'accusa di far parte di un'associazione di tipo mafioso: il reato è il 416 bis che, come specificato dalla normativa, delinea una presunzione di sussitenza delle esigenze cautelari, dunque prevede il carcere. Alle istanze degli avvocati aveva espresso parere contrario il pubblico ministero, ricordando che con un recente provvedimento del Tribunale di Trento a sei dei dieci imputati era stata applicata la misura di prevenzione della "sorveglianza speciale", e ciò a dimostrazione della loro pericolosità.

Una recente sentenza della Cassazione, tuttavia, ha evidenziato come il giudice sia obbligato a motivare la misura cautelare nel caso in cui sia trascorso un lasso di tempo considerevole fra l'emissione della stessa e il fatto contestato. A questa sentenza fa riferimento la Corte d'Assise di Trento, ricordando che gli imputati sono detenuti da più di due anni e che non ci sono elementi che facciano pensare ad una prosecuzione dell'attività criminosa.

Vero è che in tutti questi mesi ci sono stati oggettivi forti rallentamenti nel processo dovuti sia ad un problema di incompatibilità dei magistrati del settore penale del Tribunale di Trento sia alla complessità dell'istruttoria, con la necessità di tradurre dal dialetto calabrese migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, che corrispondono a centinaia di ore di registrazioni.

Al lavoro una squadra di periti, alcuni nativi calabresi, che hanno "sbobinato" e riscritto in italiano le conversazioni. L'ultimo blocco di traduzioni, l'ottavo, è stato depositato nei giorni scorsi. La prossima settimana, dunque, riprende il dibattimento.

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