Giustizia / La sentenza

Auto usata ko, niente risarcimento. Il giudice: “Per escludere il rischio danni, avrebbe dovuto prenderne una nuova”

L'auto, al momento dell'acquisto, aveva 12 anni di vita (e di usura) e 168mila chilometri. La donna l'ha pagata 3.400 euro, per un valore stimato poco meno di 3mila. Come è emerso dagli atti, la compravendita avvenuta nella primavera del 2018 si è svolta in buonafede e successivamente non è mancata la volontà del venditore di sistemare ciò che non funzionava

di Marica Viganò

TRENTO. L'auto usata, acquistata da pochi mesi, si era guastata: circa 5mila euro il costo della riparazione, quasi il doppio del valore del mezzo. Colpa di vizi occulti, secondo la proprietaria che sostiene che «fin dal giorno della sottoscrizione del contratto sono insorte una serie di problematiche».

Nessun vizio pregresso, invece, è la tesi della concessionaria presso cui si è tenuta la compravendita, e che ha posto rimedio a sue spese ai primi danni lamentati dalla acquirente. Opposte visioni, che trovano nel mezzo una normativa complessa, dal Codice del consumo al Codice civile a tutela dell'acquirente, passando per le dichiarazioni di conformità dei veicolo e le condizioni di vendita sottoscritte.

Da precisare che la donna che ha comperato il mezzo anziché formalizzare subito la presenza di anomalie nell'auto ha preferito lamentarsi a parole, trattenendo il bene. Agli atti c'è una e-mail mandata al venditore ma sette mesi dopo l'acquisto, con garanzia prevista dalla legge che era già scaduta.

Per il giudice Alessandro Sigillo alla proprietaria dell'auto nulla va versato. E questo per diversi motivi, fra i quali l'eccessivo costo per l'eventuale riparazione dell'auto: a fronte dell'entità dei danni, la venditrice, si legge nella sentenza, «avrebbe dovuto piuttosto richiedere la risoluzione del contratto con restituzione della somma versata».

L'auto, al momento dell'acquisto, aveva 12 anni di vita (e di usura) e 168mila chilometri. La donna l'ha pagata 3.400 euro, per un valore stimato poco meno di 3mila. Come è emerso dagli atti, la compravendita avvenuta nella primavera del 2018 si è svolta in buonafede e successivamente non è mancata la volontà del venditore di sistemare ciò che non funzionava.

Il giudice rileva che la donna «ha con coscienza e dunque consapevolmente operato un acquisto di un bene usato, accettando (implicitamente) il rischio che lo stesso potesse presentare dei difetti e per i quali la stessa si sarebbe impegnata, in caso di insorgenza, a far fronte (con esclusione ovviamente di quanto invece espressamente garantito dal venditore nel separato contestuale contratto di "garanzia di conformità")».

Segue questa precisazione: «Se l'acquirente avesse voluto escludere il predetto rischio, avrebbe potuto, e dovuto, acquistare un bene nuovo, scongiurando la possibile insorgenza di vizi/difetti necessitanti interventi manutentivi, riparativi, migliorativi».

Nell'atto di citazione, la donna ha chiesto di essere risarcita con una somma di 4.971.50 euro, pari ai lavori da eseguire sull'auto, senza però fornire prova della data in cui si sarebbero palesati i danni e senza mandare tempestivamente al venditore una formale denuncia scritta. C'è poi un altro punto a sfavore della proprietaria: all'atto di sottoscrivere la garanzia di conformità, la donna aveva rappresentato l'esigenza di avere un'auto che arrivasse a percorrere 15mila chilometri all'anno, mentre dopo 6 mesi dall'acquisto ne aveva già fatti 19mila.

«Un uso maggiore e diverso rispetto alle garanzie offerte dal venditore non può determinare ex post una responsabilità a carico del venditore» si legge nella sentenza. La domanda di risarcimento danni per il giudice è infondata. Al di là del caso discusso, si ricorda che la conformità prevista dal Codice del consumo per il riconoscimento della garanzia di due anni si riferisce alla conformità del bene imposta dal costruttore e non a quella attestata dal venditore. Nello specifico della vicenda «giammai un rivenditore di auto usate potrebbe rilasciare un certificato di conformità rispetto ad un modello risalente a ben 12 anni prima».

L'acquisto di un bene di seconda mano da parte della donna, secondo il giudice, «sconfessa la esigenza della stessa di acquistare un bene conforme al modello della casa madre, sicché la stessa non può invocare oggi l'applicazione della garanzia prevista dal Codice del consumo contro i "difetti di conformità"».

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