Giustizia / La sentenza

Con il bancomat rubato preleva 120 euro. Ripreso dalle telecamere, insiste: «Non è furto e non sono io»

Respinto il ricorso in Cassazione: ecco le motivazioni che hanno spinto i giudici a decidere così. Viene sottolineato il «dato probatorio incontrovertibile cristallizzato dalle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza»

TRENTOCondannato per furto e per indebito utilizzo di carta di credito, l'imputato ha messo in dubbio la ricostruzione della vittima e, dunque, tutto l'impianto accusatorio: è inverosimile - ha sostenuto - che sia avvenuto un reato in quanto la disponibilità del bancomat era di 250 euro, mentre i soldi prelevati sono stati meno della metà, 120 euro. E naturalmente ha negato di essere lui l'autore.

Dopo la sentenza di primo grado, con la condanna in abbreviato del 24enne presunto ladro, anche la corte d'Appello di Trento ha confermato la decisione del tribunale. Il giovane tuttavia non si è arreso alle accuse. Ha insistito su un punto, in particolare: la sentenza si sarebbe fondata, a suo parere, sulla presunta corrispondenza tra la persona ritratta dalle telecamere dell'impianto di videosorveglianza dello sportello bancomat e la sua foto della patente, nonché sulla deduzione che vi fosse lui a bordo dell'auto vista transitare quel giorno nei pressi del luogo in cui era avvenuto il furto. Con queste motivazioni il giovane ha dunque presentato il ricorso in Cassazione.

La quinta sezione penale ha ricordato il ragionamento del giudice di appello, che parte dalla identificazione certa della persona che ha effettuato il prelievo al bancomat con la carta che era stata rubata alla vittima, e che nei successivi minuti ha provato altre due volte e digitare il codice, senza riuscire nell'intento.

È stata ripreso la sentenza d'appello che aveva evidenziato che dalle immagini delle telecamere, all'interno della postazione per il prelievo automatico del contante, si confermava perfettamente che il soggetto era l'imputato, come da foto della patente risalente ai due anni precedenti. La tessera, inoltre, era stata sottratta alla vittima una decina di minuti prima: è evidente, come hanno sostenuto i giudici di merito, la strettissima vicinanza temporale dei due reati. La conclusione è che a compiere il furto e l'indebito utilizzo del bancomat sia stato lo stesso soggetto, ossia il giovane che in precedenza era stato controllato sull'auto che quel giorno era sul luogo dei reati.

Nel respingere il ricorso, condannando l'imputato al pagamento delle spese processuali, la Cassazione evidenzia che gli elementi che riguardano i due reati contestati non vanno isolati e analizzati in maniera indipendente come proposto dall'imputato, in quanto «è solo l'esame di tale compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza» per arrivare alla motivazione della sentenza.

Viene inoltre ricordato che «nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto».

In merito alla ricostruzione fatta dalla vittima in sede di denuncia ed ai tentativi di prelievo, circostanze messe in dubbio dall'imputato, viene sottolineato il «dato probatorio incontrovertibile cristallizzato dalle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza».

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