Giustizia / La sentenza

Poca chiarezza, risarcimento maxi: banca condannata a pagare 274mila euro a un’imprenditrice

Una cifra che corrisponde - in base alla perizia che è stata richiesta in corso del processo civile - ai maggiori interessi che la donna aveva pagato rispetto a quelli quantificati con i tassi Bot

TRENTO. L'indeterminatezza del piano di ammortamento. Sta tutto in questo la ragione della decisione del giudice che ha condannato una banca a pagare ad un'imprenditrice trentina 273.823,94 euro a titolo di restituzione di un indebito oggettivo. Una cifra che corrisponde - in base alla perizia che è stata richiesta in corso del processo civile - ai maggiori interessi che la donna aveva pagato rispetto a quelli quantificati con i tassi Bot.

Si tratta di una decisione presa dal giudice in primo grado a Bolzano (perché la banca ha la sede in Alto Adige) e contro la quale potrà essere, naturalmente, presentato appello. La vicenda che coinvolge l'imprenditrice trentina- che per questa causa si è affidato all'avvocato Loretta Deluca - parte di fatto nel 2001 quando c'era stata l'erogazione del finanziamento da un milione di euro ed è finita poche settimane fa. In un'aula di tribunale.Il punto attorno al quale è ruotata l'intera faccenda può essere riassunto nel concetto di mancanza di trasparenza. Una mancanza di chiarezza che ha trovato conferma nella perizia affidata ad un consulente tecnico.

Si legge in sentenza che «dal complesso del contratto, così come stipulato nel 2001 non emerge con sufficiente chiarezza l'ammontare degli interessi applicati, atteso che, non dichiarando, nel contratto, il regime di ammortamento si impediva la reale e compiuta conoscenza del meccanismo applicativo degli interessi, per cui si configura una significativa violazione del principio di trasparenza».

E ancora: «In altre parole, la scelta di una tipologia di ammortamento, rispetto ad un'altra, influisce sulla determinazione della quota capitale da restituire ad ogni singola scadenza e, di conseguenza, sul valore del debito residuo, sul quale sono calcolati, a loro volta, gli interessi di competenza di ciascun periodo. In definitiva, l'onerosità di un finanziamento è strettamente correlata a come il capitale da rimborsare, di volta in volta, diminuisce.

Ne deriva pertanto che, se un contratto non specifica la tipologia d'ammortamento adottata, la restituzione del debito potrebbe ipoteticamente avvenire attraverso molteplici procedimenti, l'uno diverso dall'altro, ai quali corrisponderebbero corrispettivi diversi. Appare, dunque, evidente come la mancanza d' informazioni nel contratto riguardo al tipo d'ammortamento adottato dalla banca influisca sulla determinazione degli interessi, potendo, dunque, generare indeterminatezza in merito all'onerosità dell'operazione».

E poi «al contratto non era nemmeno allegato il piano di ammortamento, dal quale si sarebbero, comunque, potute desumere le informazioni riguardanti il tipo di ammortamento adottato e, seppur indicativamente, il costo complessivo del finanziamento».

In base ai calcoli fatti dal perito, l'imprenditrice avrebbe versato, dalla stipula sino all'estinzione del finanziamento, un ammontare di interessi corrispettivi pari ad 472.850,17 euro.

A questa cifra, nella sentenza vengono sottratti 199.026,23. Una cifra che corrisponde agli interessi corrispettivi del finanziamento calcolati applicando i tassi sostitutivi previsti dall'articolo 117 del testo unico bancario. E si arriva quindi a 273.823,94 euro.

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