Sanità / Il caso

La fuga dei pazienti oncologici: il 28% dei trentini ha preferito farsi curare fuori provincia

In alcuni casi si tratta di una scelta legata alla volontà di affidarsi a centri con una maggior casistica e altamente specializzati, altre volte la decisione è dettata dalla volontà di accorciare i tempi d’attesa. Ecco l'analisi nel dettaglio basata sui dati di Agenas, l'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali

di Patrizia Todesco

TRENTO. Quasi un trentino su 3, se deve sottoporsi ad un intervento per un tumore, preferisce rivolgersi fuori provincia. In alcuni casi si tratta di una scelta legata alla volontà di affidarsi a centri con una maggior casistica e altamente specializzati, altre volte la “fuga” è dettata dalla volontà di accorciare i tempi d’attesa.

Perché se è vero che per certe patologie rimandare di poche settimane l’intervento non fa differenza, dal punto di vista psicologico l’attesa è logorante.

Nel 2021 in Trentino i pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore sono stati 1.974 e quelli curati in strutture provinciali 1.497. La scelta di andare fuori ha riguardato 558 trentini mentre 65 pazienti di fuori regione hanno optato per essere ricoverati nei nostri reparti. In termini percentuali significa che abbiamo registrato una fuga del 28,27% di pazienti oncologici a fronte di un 4,39% di attrattività.

Il tutto per un costo complessivo di 4.162.277 euro e di 437.324 di ricavi. Paragonando i numeri con quelli del 2021 si registra un leggero peggioramento. Nel 2017 abbiamo infatti avuto 1.937 diagnosi, 1.533 interventi in Trentino, 487 pazienti in fuga e 70 attratti, con una percentuale di fuga 25,14% e un’attrattività del 4,61%.

I dati sono forniti da Agenas (agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) che presentando i numeri sulla mobilità sanitaria ha fornito anche un quadro complessivo degli ultimi cinque anni. Su 9.648 diagnosi di tumore, coloro che hanno deciso di curarsi in Trentino sono stati poco più di 7 mila, esattamente 7.082, mentre 2.566 hanno optato per strutture esterne alla Provincia.

Pazienti oncologici in fuga dal Trentino. Ma per Ferro (Apss) i dati sono stabili

Quasi un trentino su 3, se deve sottoporsi ad un intervento per un tumore, preferisce rivolgersi fuori provincia. In alcuni casi si tratta di una scelta legata alla volontà di affidarsi a centri altamente specializzati, altre volte la "fuga" è dettata dai tempi d'attesa. Le mete preferite sono Peschiera, Verona e Padova. Ecco cosa risponde il direttore dell’Apss, Antonio Ferro.

La percentuale della fuga nel quinquennio è stata del 26,6%, peggio di noi Calabria e Molise che hanno superato il 50% e poi Basilicata e Valle d’Aosta.

Ma dove vanno i trentini a farsi curare per le patologie oncologiche? Nel 2021 in 26 sono andati all’ospedale Borgo Roma di Verona per un costo per l’Azienda sanitaria trentina di 343 mila euro; 74 pazienti si sono rivolti al Borgo Trento, sempre di Verona (664 mila euro); 24 all’Azienda ospedaliera di Padova (202 mila euro). Ma la vera parte del leone la fa l’Azienda di cura privata Pederzoli di Peschiera con 137 pazienti e un incasso dall’Apss di 900.570 euro. In generale, per quanta riguarda la mobilità, si registra però un dato positivo.

Secondo i dati di Agenas nel 2021, sul fronte della mobilità dei ricoveri in Trentino si è registrato un sostanziale pareggio. 38,3 milioni di euro di mobilità attiva e 38.4 di mobilità attiva.

Dall’analisi dei numeri relativi all’anno 2021 emerge che, sebbene sia diminuito il giro d’affari, il fenomeno dell’esodo da Sud a Nord per curarsi è tutt’altro che in diminuzione così come quello dalle regioni più piccole a quelle più grandi. Sono due terzi le regioni italiane, infatti, che hanno un saldo negativo. Tra le 14 regioni con il segno meno, il risultato peggiore viene registrato dalla Campania (-185,7 milioni di euro).

Seguono Calabria (-159,5 mln), Sicilia (-109,6 mln), Puglia (-87,6 mln), Liguria (-60,7 mln), Abruzzo (-49,5 mln), Basilicata (-40,3 mln), Sardegna (-34,4 mln), Marche (-21,1 mln), Umbria (-9,8 mln), Valle d’Aosta (-7,1 mln), Friuli Venezia Giulia (-6,8 mln), la Provincia autonoma di Bolzano (-4,3 mln) e infine la Provincia autonoma di Trento con appena - 0,03 milioni.

Segno positivo, invece, per l’Emilia Romagna con un saldo di 293,9 milioni. Subito dopo la Lombardia con +274,9 mln e in terza posizione il Veneto con +102 mln. Dietro Toscana (+38,1 mln), Lazio (+34,2 mln), Piemonte (24,8 mln) e Molise (+8,7 mln).

L’analisi di Agenas è andata però oltre i numeri cercando di capire cosa porta le persone a curarsi lontano da casa. Tre i tipi di mobilità identificata. C’è la mobilità apparente, legata a persone domiciliate in altre regioni rispetto a quelle di residenza e poi gli accessi causali, quelle che portano molti turisti a finire le loro vacanze in un letto d’ospedale lontano da casa. C’è poi la mobilità accettabile, legata alla vicinanza a ospedali fuori regioni o quella verso i centri ad alta specializzazione. In Trentino, ad esempio, è il caso dei residenti in Primiero che per molte cose si rivolgono al più vicino ospedale di Feltre (Belluno) o quelli della val di Fassa che si recano al San Maurizio di Bolzano.

Infine quella evitabile, che è quella che le Aziende sanitarie dovrebbero monitorare maggiormente e sulla quale ci sono margini di miglioramento.

In Trentino dei 38.41 milioni di saldo negativo ci sono 7,33 milioni relativi alla mobilità apparente; 10,38 milioni di Dgr ad alta complessità; 3,7 milioni di mobilità di prossimità accettabile; 11,3 di altra mobilità e 4,3 milioni di mobilità di prossimità non accettabile. Ed è quest’ultima la voce che negli ultimi anni ha subito una maggiore diminuzione considerato che nel 2019, quando la mobilità passiva era di 43 milioni di euro, era di 6,8 milioni.

Una diminuzione legata anche al fatto che la Provincia, nel 2020 ha deciso di aumentare il budget per l’attività chirurgica ortopedica convenzionata con la clinica Solatrix di Rovereto con l’obiettivo proprio di diminuire i pazienti che si recano fuori regione. Quindi in questo caso, più soldi ai privati che operano in Trentino per evitare che gli stessi trentini vadano ad operarsi fuori provincia.

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