Cultura / Polemica

Il Muse, museo pubblico con personale esternalizzato, e Zecchi scarica su Lanzinger (come al solito)

Lavoratori precari, assunti part-time per lavorare giornate intere, in 120 si sono dimessi. Ma al presidente interessano solo «scienza e bellezza» e i sindacati parlano di «gioco allo scaricabarile»

TRENTO. Acque agitate al Muse, il bellissimo museo delle scienze alle Albere. Una eccellenza trentina, un gioiello scintillante, ma con i piedi di balsa: gran parte delle attività viene infatti gestita da personale esterno. Che secondo i sindacati ha una condizione lavorativa scarsa, tanto è vero che 120 addetti hanno dato le dimissioni in questi anni. E a sorpresa, il presidente Zecchi “scarica” le responsabilità, dicendo che non è affare suo. E tirando in ballo (non è una novità) il direttore Lanzinger. Ma senza neanche nominarlo.

Tutto inizia con la dura protesta della scorsa settimana. Un rimpallo di responsabilità continuo: da un lato il Muse, che, a parer suo, comunica le attività con largo anticipo; dall’altro le cooperative che gestiscono il personale e che sottolineano che l’organizzazione del museo non permette una organizzazione accurata. Di chiunque sia la colpa, a rimetterci sono i lavoratori.

Giovedì sera i professionisti del Muse si sono incontrati in occasione dell’assemblea presidio, alle Albere, organizzata da Fp Cgil ed è emerso che la situazione non è più sostenibile: quello che secondo il museo doveva essere un’eccezione, per i lavoratori è la quotidianità.

Il problema non riguarda tanto i turni serali, notturni o festivi, bensì la loro organizzazione: «È capitato che io finissi un turno serale anche all’1 di notte e che mi assegnassero un turno il mattino dopo - racconta Filippo, che fa la guida al Muse dal suo primo giorno di apertura - le ore di sonno diventavano quindi cinque o sei, per legge, la pausa tra i turni dovrebbe essere di 11 ore».

I problemi, già presenti, sono aumentati con il passaggio alle cooperative: Diego, guida dal 2016, denuncia un «utilizzo orario disdicevole. Abbiamo un contratto part time, ma siamo impegnati tutto il giorno. Magari tra una visita guidata e un’altra c’è una pausa di un’ora e questo mi porta ad avere una giornata piena di buchi che non sono retribuiti ma che non posso impegnare al di fuori del Muse».

Il tutto si va a sommare alle diverse richieste che si susseguono di lavorare nel giorno libero: «La prima volta accetti, ritenendola un’eccezione, la seconda pure, dalla terza inizi a farti delle domande e a chiederti come sia possibile che si vadano a prevedere in determinati giorni delle attività in un settore, quando è già stabilito per la stessa data il giorno libero del reparto».

Anche la comunicazione con i dipendenti, fa acqua da tutte le parti: diverse sono state le segnalazioni riguardanti turni comunicati all’ultimo minuto e con uno stringato messaggino su whatsapp. Selene, che è stata assunta come guida circa un anno fa, ha raccontato che la notizia dell’assunzione le è stata comunicata 45 minuti prima dell’inizio del primo turno di lavoro. Qualche settimana dopo le hanno chiesto telefonicamente di aumentare il monte orario; questo non è mai veramente accaduto, ma lei l’ha scoperto solo dopo.

Il cittadino, secondo i lavoratori, non può girarsi dall’altra parte di fronte a questa mancanza di garanzie, di tutele e di condizioni di lavoro dignitose. Sempre Filippo, sottolinea che il Muse è un museo pubblico e in quanto tale è finanziato indirettamente dalle tasse dei residenti, idem gli investimenti per la qualità della cultura. «Se però in 120 se ne vanno e bisogna formare nuove guide, la qualità diminuisce perché devi dargli la formazione specifica per quel museo. Non è un lavoretto da neolaureato come piace credere al Muse. Queste sono dichiarazioni inaccettabili che sviliscono la nostra professionalità. Non conveniva dare migliori condizioni di lavoro in primis?» E all’affermazione del Muse, secondo cui molti di quelli che hanno cambiato lavoro, non l’hanno fatto per motivi di conciliazione lavoro/famiglia o di condizioni lavorative insopportabili, risponde Alessia, che ha lasciato il museo nel 2020 e che oggi fa l’insegnante: «Io me ne sono andata perché non riuscivo ad avere una vita. Ho tenuto duro perché quel lavoro lo amavo, ma poi sono uscita di testa. È giusto che si inizi a considerare questo lavoro come una vera professione, soprattutto perché guardando l’estero, è palese che venga considerato molto di più».

Il problema non riguarda soltanto le guide, ma anche le receptionist: «L’incertezza data dall’organizzazione del lavoro, ha accentuato i miei attacchi di panico e ansia. Sono venuta a sapere dai giornali che la mia cooperativa era fallita e nessuno mi aveva neppure detto che la data di accredito dello stipendio sarebbe cambiata», ci dice Nadia.

E anche in questo caso torna il problema della formazione: «Il Muse stesso ci considera la sua interfaccia, parliamo con il cliente e gli spieghiamo cosa vedrà, però ho dovuto investire le mie ore libere per andare a vedere le mostre e capirle. I corsi di lingua? Li ho tutti fatti per conto mio». Da fuori il museo è bellissimo, entrandoci si scoprono dei mondi affascinanti e curiosi, ma si scopre che dietro le vetrate del Museo i problemi organizzativi non mancano.

La risposta del presidente. 

«La scienza, la cultura, la formazione dovrebbero essere i primi luoghi dove le idee e la ricerca guidano e illuminano le forme di convivenza civile, di lavoro e di crescita responsabile». Stefano Zecchi, presidente del Muse, rompe il silenzio dopo il presidio organizzato dalla Cgil che si è svolto davanti al museo venerdì scorso e che ha coinvolto diversi lavoratori non soddisfatti della loro condizione. Il problema alla base è dato dal rimpallo di responsabilità tra il Muse e le cooperative che dovrebbero gestire gli orari dei lavoratori: da un lato pare che non sia possibile organizzare la turnistica a causa della tipologia di attività del museo; dall’altro invece risulta che le visite siano state programmate con largo anticipo, che siano state comunicate entro la fine di giugno, ma che nonostante ciò gli orari lavorativi continuino ad essere modificati, comunicati all’ultimo e poco efficienti.

Lo stesso Zecchi evidenzia l’inutilità di questo ping pong e auspica «l’apertura di un sincero confronto tra le parti in causa per trovare nuove possibili strade condivise». Quelle che vengono denunciate dai professionisti sono delle condizioni poco dignitose che sviliscono lo stesso lavoratore. Negli anni 120 persone hanno lasciato il loro posto, 3 solo nell’ultimo mese, nonostante il contratto a tempo indeterminato, proprio a causa dell’incertezza data da questa organizzazione che non permetteva di avere una vita al di fuori del luogo di lavoro, come riportano gli stessi lavoratori. «Per affrontare la complessità dei problemi che da tempo agitano i lavoratori del museo avevo suggerito di riconsiderare globalmente la pianta organica del personale che a diverso titolo ci lavora».

Un’altra soluzione potrebbe arrivare a novembre, data di scadenza della proroga fatta a maggio per l’appalto ora in vigore. Entro quella data, che forse sarà nuovamente rinviata, si dovrebbe procedere all’internalizzazione di alcune delle guide che lavorano al museo e che dovranno superare un concorso per l’assunzione; e, inoltre, dovrebbe essere indetta una nuova gara d’appalto per riempire le ulteriori posizioni. Nonostante la proposta fatta però dal Presidente, si vuole specificare che «il Consiglio d’Amministrazione del Museo delle Scienze di Trento non ha alcuna competenza in merito all’amministrazione e gestione del personale che lavora nel museo. Tale competenza appartiene alla Direzione del Muse». Che ci sia un rimpallo di responsabilità anche all’interno dello stesso Muse?

I sindacati

I sindacati replicano oggi a Zecchi: «Condividiamo col presidente Zecchi le parole sul Muse quale luogo in cui scienza, cultura e formazione dovrebbero guidare e illuminare le forme di convivenza e, aggiungiamo noi, le tutele dei diritti del lavoro e la crescita, per questo contiamo sul suo sostegno per superare definitivamente una situazione che contrasta plasticamente questo assunto.

A differenza di quanto abbiamo potuto leggere nel comunicato del Muse che, in buona sostanza, oltre ad autoassolversi da qualsivoglia responsabilità derubricava le ragioni degli abbandoni di oltre 120 persone - con rapporto di lavoro a tempo indeterminato! - all’esigenza individuale di collocazione in altri enti più gratificanti e remunerativi anziché ammettere il fallimento di una politica del personale che si lascia sfuggire fior di professionisti (dopo aver investito sulla loro formazione) perché non si è in grado e/o non si vuole garantire loro una conciliazione minima e necessaria tra tempi vita/lavoro e/o la possibilità di altri lavori part time per arrivare a fine mese, le parole del presidente Zecchi sulla necessità di aprire un tavolo di confronto per trovare soluzioni condivise sono apprezzabili perché riconoscono il problema e aprono al dialogo.

Non vorremmo però, e non lo pensiamo, che si tratti di parole di circostanza visto che il CdA tempestivamente chiarisce che la gestione del personale non è affar suo ma della direzione, alimentando il gioco dello scaricabarile già ampiamente praticato in questi anni tra Muse e Cooperative.

Siamo a un punto di non ritorno: il personale è sfiduciato e ha affidato alla Fp Cgil la valutazione di una vertenza anche legale per il riconoscimento giuridico ed economico dei diritti palesemente violati in questi anni, a partire dall’indennità di appalto all’orario di lavoro sino all’uso arbitrario di ferie e permessi per il completamento dell’orario. Questo per il passato e il presente.

Per il futuro non ci sono altre strade che la reinternalizzazione di tutti i servizi del Muse oggi in appalto, l’applicazione corretta del Ccpl, la valorizzazione del personale, formazione, riqualificazione, contrattazione dell’orario di lavoro. Il concorso in atto è solo un primo – positivo – segnale, per il quale la Fp Cgil si è a lungo battuta in questi anni. Ma non basta, bisogna proseguire su questa strada per garantire alle lavoratrici e ai lavoratori il giusto riconoscimento del valore del proprio lavoro grazie al quale, evidentemente, il Muse continua ad assicurare attrattività a tutto il territorio.

Auspichiamo che il presidente Zecchi possa condividere e sostenere autorevolmente questa prospettiva».

 

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