Lavoro / Il caso

Contratti fissi, in regione boom di dimissioni: nel 2021 salite del 30% e quest’anno stessa tendenza

In Trentino Alto Adige il trend è in atto da anni e solo il Covid ha interrotto la progressione, senza impedire di raggiungere il primato toccato lo scorso dicembre: 25.400 addii

ECONOMIA Il Nordest vola 

di Lorenzo Ciola

TRENTO. Boom di dimissioni da posti con contratti di lavoro a tempo indeterminato in Trentino Alto Adige. A dirlo sono i dati dell'Inps relativi allo scorso anno, ma i primi mesi del 2022 dicono che i primato del 2021 è già in pericolo. Dunque, a quanto pare, la corsa ad un posto fisso a tempo indeterminato sembra essere meno decisa rispetto al passato. Anzi, chi ha conquistato questo traguardo, sempre più spesso vi rinuncia, magari semplicemente per cercare qualcosa di meglio nel proprio percorso professionale.

Se c'è insomma chi può scegliere, occorre anche tenere conto che se si guarda alle assunzioni e alla loro qualità, non sempre le aziende, a detta del sindacato, sono pronte a riconoscere un rapporto duraturo. Ad ogni modo, i valori proposti dalla direzione regionale dell'Inps attraverso gli Osservatori statistici sono piuttosto chiari nell'indicare un'impennata vicina al 30% nelle rinunce ai contratti a tempo indeterminato da parte dei lavoratori della nostra regione.

Lo scorso anno, infatti, questa tipologia di rapporti ha registrato complessivamente la cessazione di 33.601 rapporti, contro i 27.183 del 2020. In totale, insomma, sono venuti meno 6.418 contratti, ma in questo caso sono compresi anche quanti hanno deciso di andare in pensione. Serve dunque andare a vedere quante persone si sono licenziate senza aver diritto ad accedere ad un vitalizio. Questa tipologia di lavoratori è passata dalle 19.569 unità del 2020 alle 25.406 del 2021, con un balzo di 5.837 contratti pari ad un +29,8%.

Tirando le somme, si tratta di una cifra record di dimissioni per quanto riguarda gli accordi a tempo indeterminato, ma che segue una tendenza di crescita in atto da un decennio. Basti pensare che solo rispetto a otto anni fa, al 2014, i valori sono quasi raddoppiati e che sono nell'anno in cui è scoppiata la pandemia Covid il trend ha visto una battuta di arresto.Come detto, pare che nell'anno in corso le cose non siano destinate a cambiare.

Stando ai dati raccolti dall'Inps tra gennaio e marzo, infatti, ci sono state altre 6.953 dimissioni che potrebbero proiettare il dato di fine anno attorno alle 28.000 rinunce a contratti a tempo indeterminato da parte di lavoratori che non hanno ancora maturato il diritto alla pensione.Simile il percorso di chi ha scelto di essere assunto con un contratto di apprendistato che pure promette una stabilizzazione per i giovani che entrano sul mercato del lavoro.

Chi ha rinunciato a questo percorso è infatti salito dai 2.150 soggetti del 2020 ai 2.971 del 2021, con una crescita del 38% . Anche in questo caso, i numeri assoluti indicano che lo scorso anno si è raggiunto un nuovo primato.

Per quanto riguarda i rapporti cessati con altre tipologie contrattuali, la situazione offre meno sussulti, anche perché vanno considerate le dinamiche imposte dal Covid sopratutto per quanto riguarda gli stagionali. Va però evidenziato quanto succede con gli stop agli accordi a termine. Ecco quindi che i lavoratori usciti da un contratto nel 2020 sono stati 5.188, per salire a 7.763 lo scorso anno. In entrambi i casi si tratta di valori al di sotto delle oltre 8.000 cessazioni che avevano contraddistinto il 2018 e il 2019.

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