Economia / Il caso

Perché se ordinate un’auto nuova o una bici elettrica dovrete aspettare molti mesi (anche un anno)

Una serie di cause a livello globale mettono in crisi le consegne: dalla penuria di microchip alla crisi dei container, con un aumento esponenziale dei costi e ora anche la guerra in Ucraina

di Matilde Quaglia

TRENTO. «Mancano copertoni, camere d'aria, batterie, tutto. È una situazione che non ho mai visto in 33 anni di attività», commenta Angelo Lona, titolare di Tuttobici a Lavis. Prigioniero, pure lui, dei ritardi di consegna delle imprese. Ritardi ormai pesantissimi sia nelle consegne delle auto che in quelle delle bici. E a rimetterci è soprattutto il rivenditore, che deve fare i conti con una clientela ovviamente attonita. La colpa, ancora una volta, è la carenza di microchip e di container. Problemi che non nascono in città, ma che impattano praticamente in ogni punto vendita. Ed il mercato cerca di adeguarsi.

«Non ci sono praticamente più le auto in pronta consegna; oggi come oggi per avere un auto senza troppi accessori ci vogliono dai sei agli otto mesi. Ma più aumentano le richieste di optional, più aumenta il ritardo - fa sapere Camilla Girardi di Federauto - tra l'altro, questo problema riguarda tanto le auto elettriche quanto quelle termiche».

Quella dei microchip è una crisi nata in periodo di pandemia e dalla quale ancora non si è usciti nonostante i maggiori investimenti da parte dei produttori dei semiconduttori. Risulta però difficile aumentare la produzione in modo repentino - ipotesi pur presa in considerazione in Europa, per una produzione interna - poiché per costruire una nuova fabbrica e per far sì che questa raggiunga il pieno regime ci vogliono anche cinque anni. In più, la produzione, il confezionamento e la spedizione di un semiconduttore richiedono almeno cinque mesi di lavoro.

Tempistiche completamente sproporzionate rispetto a quelle delle auto, dove uno stabilimento diventa pienamente operativo in sei mesi al massimo, e una macchina può essere assemblata in 15/30 ore contenendo al suo interno però migliaia di microchip.

«Questa crisi ha impattato molto anche sul mercato dell'usato - aggiunge Stefano Franceschi titolare della concessionaria Franceschi - non si trovano auto e quelle che ci sono hanno costi maggiori; la gente, quindi, non vende la macchina per comprarne una nuova ma si tiene quella che ha».

Poco dopo la fine del primo lockdown è iniziata anche la crisi dei container che ha colpito a livello globale sia esportatori che importatori.

Questa situazione impatta anche sul settore delle bici, anche in Trentino dove, tra l'altro, il mezzo ha sempre maggior richiesta. Un po' per l'avvio della stagione, un po' per la spinta del settore elettrico. «Ci sono molti ritardi nella vendita e non è detto che i piccoli commercianti li riescano a sostenere ancora a lungo», segnala il titolare di Freewheelsbike Luca Fumanelli.

La causa è da ricercarsi soprattutto nelle restrizioni al commercio internazionale date dalla pandemia: c'è stata una riduzione del numero di navi attive e questo ha ridotto il numero di container utilizzati, lasciandone molti bloccati nei porti e a bordo delle navi. Con meno container, il tempo di consegna è logicamente aumentato così come sono lievitati i costi d'affitto di questi, fino a raggiungere un +500%.

«Navighiamo a vista, se la bici è già in negozio, ben venga, si può acquistare subito. Se però il cliente richiede qualcosa di particolare e bisogna ordinarlo, l'attesa potrebbe essere di due mesi, come di un anno, o potrebbe non arrivare mai. Le richieste ci sono, ma non abbiamo il prodotto da vendere», sempre Lona.

Molti hanno cercato di bypassare la crisi dei container facendo affidamento sul trasporto coi treni. Sempre Lona ricorda però che «la maggior parte dei componenti proviene dalla Cina, e quindi col treno dovrebbero transitare dalla Russia. Con lo scoppio della guerra anche questa soluzione è diventata impraticabile».

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