Sanità / L’allarme

Il 57% degli accessi in Pronto Soccorso non urgenti: i codici rossi sono raddoppiati

I numeri dei sette Pronto soccorso del Trentino dal primo gennaio al 31 maggio. Ogni giorno quasi 600 trentini si recano nei vari presidi d’emergenza, ma quasi sei su 10 non ne avrebbero bisogno

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di Matteo Lunelli

TRENTO. A livello provinciale al 57% degli accessi nei sette Pronto soccorso viene poi dato un codice bianco o verde. In numeri stiamo parlando di 48.597 ingressi non di emergenza su un totale di 86.361 (i dati sono dall'1 gennaio 2022 al 31 maggio scorso).

Considerando solamente i codici bianchi - per definizione "non urgenti, problemi di minima rilevanza clinica", mentre i verdi indicano "urgenza minore, una condizione stabile e senza rischio evolutivo che solitamente richiede prestazioni terapeutiche semplici e monospecialistiche" - siamo al 10%, con differenze anche molto significative tra ospedale e ospedale: a Cavalese più del 15% delle persone entra in Pronto soccorso in "bianco", mentre i più "virtuosi" sono i pazienti di Arco (6,7%).

Arco che si conferma in testa anche nella "classifica" che riguarda codici bianchi e verdi insieme: 49,5%, la percentuale più bassa del Trentino. La più alta è invece Cavalese (62,8%), seguita a poca distanza da Cles e Borgo. L'altra faccia della medaglia sono invece i codici rossi ("emergenza: interruzione o compromissione di una o più funzioni vitali"): la percentuale più alta è a Trento (1.065 codici rossi in 151 giorni su 35.116 accessi: 3,1%), mentre a Borgo l'arrivo di una persona a rischio vita è un evento rarissimo (29 persone in cinque mesi, lo 0,6% del totale). Tutti gli altri ospedali periferici sono abbondantemente sotto il due per cento, come in fin dei conti ovvio: per i problemi più gravi si va al S. Chiara.

Così è, giusto o sbagliato: l'ospedale di Trento resta l'hub di riferimento del sistema ospedaliero provinciale. Confrontando gli stessi numeri con quelli del 2019 (stesso periodo, da gennaio a maggio), si nota che in realtà gli accessi complessivi nei vari Pronto soccorso sono calati, passando da 92.789 a 86.361. Una differenza di circa 6 mila accessi, di cui oltre 5 mila riguardano Trento e Rovereto (quattromila al Santa Chiara) e gli altri le rimanenti strutture periferiche. Ma se i numeri dal pre Covid a oggi sono appunto in calo, verosimilmente lo sono anche gli organici, ovvero il totale di medici, infermieri e oss che si prendono a carico i pazienti.

Detti i numeri, resta il nodo su come va risolta una situazione di oggettiva e indiscutibile difficoltà - carenza, fuga verso altre aziende sanitarie o verso il privato, esigenze dei pazienti -. Leggendo i dati emerge piuttosto chiaramente che senza codici bianchi e verdi la vita dei professionisti dei Ps sarebbe decisamente migliore e più facile. Con "accesso improprio" si definisce un accesso non urgente che dovrebbe essere gestito in maniera maggiormente appropriata presso altre strutture territoriali.

Chiaramente il cittadino che si presenta in Pronto soccorso non lo fa per divertimento o per trascorrere qualche ora in un luogo diverso: lo fa perché è convinto di essere al posto giusto, preoccupato per le proprie condizioni di salute. E solo se sarà una persona con il camice bianco addosso a dirgli che non c'è nulla di cui preoccuparsi allora se ne convincerà. Ma l'obiettivo dei Ps non è rincuorare, quanto trattare i casi urgenti e le emergenze.

Quindi, visto che le persone continueranno a necessitare - legittimamente - di risposte, dovute anche a semplice ansia o alla fragilità, queste dovrebbero arrivare da figure o luoghi "intermedi": medici di medicina generale (che però sono pochi e oberati di lavoro a loro volta), guardie mediche (che però sono sempre meno), strutture (Villa Igea, ad esempio, una volta si prendeva carico di una serie di traumi specifici). Insomma, qualcuno a metà tra la ricerca di risposte su Facebook (sottovalutazione di un problema di salute) e il Pronto soccorso (almeno nel 57% dei casi sovrastima di un problema di salute).

Il sovraffollamento dei Ps, evidente al Santa Chiara, per di più a fronte di meno personale in servizio rispetto al necessario, rappresenta indirettamente un indicatore rispetto la capacità di presa in carico dei pazienti da parte del territorio. Che non è sufficiente. Si vedrà se la riorganizzazione della sanità, trentina con l'ospedale policentrico e anche quella nazionale legata al Pnrr, saprà invertire la tendenza. Anche perché la risposta alla crisi di assessorato e Azienda sanitaria, ovvero il ricorso alle cooperative private di medici, è già stata bocciata da Ordine dei medici, professionisti della salute, consulta, sindacati e parte della politica

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