Economia / L'analisi

Sorpresa: la pandemia non ha penalizzato la ristorazione in Trentino

La provincia in controtendenza, secondo i numeri della Camera di commercio: dopo due anni 68 locali in più, ma restano le criticità peri costi alle stelle e la carenza di personale

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di Daniele Benfanti

TRENTO. Crisi della ristorazione? No, il Trentino va in controtendenza. A parlare sono i numeri delle nuove attività ristorative avviate nei due anni pandemici che si spera essersi lasciati alle spalle. Si tratta dei numeri della Camera di Commercio: in provincia di Trento nel corso del 2021 sono state 62 le nuove aperture. Altre 60 nell'annus horribilis, il 2020.

In questi due anni le cessazioni sono state 64, quindi il saldo è di 68 ristoranti in più da quando è scoppiato il Covid-19.Non si tratta solo di ristoranti classici: anche fast food, hamburgerie, poke, sushi, le nuove frontiere della ristorazione, che entrano a pieno titolo nel censimento.

I ristoranti in Trentino sono oggi 1140, oltre metà aderenti a Confcommercio.

All'associazione ristoratori del Trentino di Confcommercio, presieduta da Marco Fontanari, si respira aria di fiducia, tanto che si riparte con un nuovo logo (con i colori della Trentino Marketing, un font un po' futurista e l'acronimo Art, a significare che ormai nel piatto c'è arte gastronomica): «Ci siamo lasciati alle spalle 26 mesi - ha detto in conferenza stampa il presidente della categoria - fatti di chiusure, divieti, limitazioni, distanziamento, mascherine, asporto, coprifuoco, green pass. Le nostre attività sono state le più penalizzate. Abbiamo fatto fatica, va ammesso, e tra i nostri associati i mal di pancia sono stati tanti. Ma abbiamo sempre accolto le indicazioni della scienza come fosse vangelo».

In questi 26 mesi il 54% dei ristoranti è stato controllato e trovato in regola; l'1% controllato e sanzionato per irregolarità; il 45% non ha mai subito controlli. Secondo Fontanari, la resilienza dei ristoratori trentini dipende in gran parte dalla tradizione familiare e dal legame con il territorio, dal sentire la propria attività come la propria identità: «Sostegni e ristori hanno aiutato, ma molti hanno dato fondo a risparmi, accantonamenti e fatto nuovo debito per non chiudere».

La pandemia lascia in eredità, però, un cambiamento epocale per la ristorazione. Tendenze che rappresentano il presente, più che il futuro del settore. Innanzitutto gli spazi esterni, ormai fondamentali (si spera in un accordo con il Consorzio delle autonomie locali per allentare ancora i vincoli); poi il boom del delivery, le consegne a domicilio. Inoltre la tendenza dei clienti a concentrarsi la sera e il venerdì e sabato: «Molti esercizi, al di là delle località turistiche, stanno pensando di aprire non più sei o sette giorni su sette, ma solo dal giovedì alla domenica» fa notare Fontanari. Cambiano le abitudini: i giovani vanno poco al ristorante classico.

«A pranzo l'offerta è funzionale a chi lavora - prosegue il presidente dei ristoratori - mentre la sera l''offerta è sempre più esperienziale, con atmosfera, servizio, suggestioni e magari un menù più corto ma che cambia più spesso». Infine la sostenibilità, la cucina sana, la managerialità sempre più necessaria. Ci sono poi le ombre.

A cominciare dai costi: bollette raddoppiate, con i costi dell'energia triplicati. Per le materie prime, un +10%. Si corre ai ripari: il 60% dei ristoranti trentini ha già aumentato i prezzi. L'altro 40% lo farà a breve e gradualmente, per non vanificare l'onda positiva del ritorno dei clienti senza assilli e limitazioni (leggi: mascherine e green pass). C'è poi il nodo manodopera. Scarseggia, come noto. Il Trentino, riferisce Fontanari, è in linea con i dati nazionali: in due anni si è perso il 25% dei dipendenti.

Un calo che ha interessato un'azienda su tre. Lavoratori dirottati, per propria scelta, in settori come la grande distribuzione e il manifatturiero, che danno più continuità. Ma Fontanari ci tiene a ricordare come anche in Trentino oltre il 60% del personale abbia contratti a tempo indeterminato (il 60% sono però part-time). Solo il 10% sono stagionali.

E il contratto applicato è quello di categoria, Fipe, oggi in corso di rinnovo: «Ragioneremo sull'apertura di un tavolo provinciale. La retribuzione annua lorda - prosegue Marco Fontanari - è uguale all'Alto Adige, ma in Trentino la stagione è più corta di circa un mese e mezzo». «Nel nostro comparto - chiude ancora Fontanari - il 50% dei datori di lavoro è donna e il 20% sono under 35.

Tra i dipendenti più della metà è donna e un quarto sono stranieri. Recuperiamo orgoglio e attrattività di questa professione. Le scuole alberghiere devono formare personale per il turismo, non per le mense ospedaliere... Ci attiveremo con delle certificazioni di Confcommercio per le competenze negli istituti professionali».

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