Politica / Elezioni

Valduga scuote la politica: «Alternativi a Fugatti, Campobase può farcela». Con il Patt. E guardando al Pd

Il sindaco di Rovereto spiega cosa si sta muovendo: «Sento sui territori parecchia richiesta di altro, di tornare a un vero coinvolgimento. Qui decidono una cosa e il giorno dopo il contrario, e senza sentire i Comuni...»

di Luisa Maria Patruno

ROVERETO. «Mi preoccupa un po' la morta gora di chi dice "ormai"; quella certa rassegnazione in vista delle elezioni provinciali dell'anno prossimo. Ma non è così, basta darsi da fare e sono convinto che l'attuale leadership della Provincia sia contendibile. Sento sui territori parecchia richiesta di altro, di tornare a un vero coinvolgimento, alla concretezza e a una capacità di governo con una visione di insieme».

Francesco Valduga, sindaco di Rovereto, tra gli amministratori che si sono fatti promotori del nuovo movimento Campobase e della costruzione di una coalizione alternativa a quella guidata dalla Lega di Maurizio Fugatti, delinea quello che secondo lui dovrebbe essere il percorso per arrivare pronti all'appuntamento elettorale con un progetto amministrativo e politico coraggioso e di grande respiro, che sappia ridare «fiducia e speranza».

Quello di Valduga è uno dei nomi che circolano - inutile nasconderlo - come possibile candidato della nuova coalizione, ma ad oggi ha evidentemente poco senso concentrarsi sulla questione del leader - di che? - quando c'è ancora da costruire tutto il resto: dal progetto all'alleanza.

E infatti Valduga sgombra subito il campo su questo: «I leader emergono in maniera naturale, quando è il momento lo si capisce, tra la gente, chi "passa" di più».

Sindaco Valduga, partiamo dal progetto per il 2023. Cosa si sta muovendo?

La prima cosa da capire è quali siano le necessità. Secondo me c'è necessità di fiducia e di speranza. Bisogna trasmettere una traiettoria al nostro territorio e anche la convinzione che se andiamo a cercare dentro la nostra storia, nelle nostre culture politiche e nelle azioni messe in campo, troviamo delle fondamenta sulle quali possiamo ancora fare leva, per costruire il futuro, declinandole in maniera nuova. Abbiamo bisogno di costruire una classe dirigente che comprenda la bellezza e il fascino del governo del territorio, che incide in maniera concreta sulla vita di una comunità. E qui si vede la differenza tra la politica dell'annuncio e del tweet, e la profondità e agli studi che portano alla realizzazione delle opere. Quindi abbiamo bisogno di competenze e di unità, anche nel dialogo con i corpi intermedi nella pianificazione.

Lei in Consiglio delle autonomie ne ha parlato in merito alla riforma del Progettone. Questo dialogo oggi non c'è?

L'assessore Spinelli ha riassunto il mio intervento dicendo che ci si vuole appiattire sui sindacati. Ma non è questo: io penso che ci sia bisogno di un lavoro fatto insieme a una rete di competenze per arrivare alla scelta di governo migliore. Poi, se guardiamo sull'urbanistica, non possiamo assistere a una Provincia che un giorno su un'area vuole fare una cosa, il giorno dopo un'altra, magari persino bypassando i Comuni.

O una riforma delle Comunità di valle, che non permette il lavoro insieme, perché fraziona invece che unire e fa saltare anche le pianificazioni, perché un piccolo Comune non riesce a pianificare da solo e va a finire che delega alla Provincia. C'è bisogno dunque di dialogo e concertazione dentro una cornice di capacità di originalità e innovazione tipica della nostra autonomia. E questo ci porta a immaginare traiettorie politiche conseguenti.

Dunque qual è questo progetto politico che punta a incarnare questo diverso modello di governo del Trentino?

È il tempo di unire. Chiamare a raccolta movimenti, associazioni (bene l'iniziativa delle Acli), i partiti, che però non sono fini ma mezzi per riavvicinare le persone che si riappassionano alla politica e alla cosa pubblica. Dobbiamo unire culture politiche e persone ora fuori dalla politica o che in passato hanno fatto altre scelte e che si rendono conto che nel nostro campo valoriale ci può essere spazio. «Campobase» deve essere l'occasione per mettere in campo questo percorso, che va a intercettare prima di tutto un'area civica, popolare e di amministratori, ma non solo.

Al congresso del Partito autonomista, il segretario Simone Marchiori ha prefigurato un asse territoriale Patt-Campobase che poi si apre a possibili alleati come il Pd. Condivide?

Noi di Campobase siamo consapevoli dell'importanza della cultura autonomista in quel perimetro valoriale di cui abbiamo parlato, ma a Marchiori ho sempre detto che secondo me l'obiettivo è quello di tendere a qualcosa di grande, un grande partito territoriale con anime diverse dentro, dove territoriale non vuol dire chiusura, ma prossimità. e capaci di aprirsi in una cornice nazionale ed europea.

Ma prima del 2023 non riuscirete a costruirlo.

Non so se ci arriveremo domani mattina o passando attraverso una coalizione. Ma se quello è il fine, la coalizione la si costruisce fin da subito tutti insieme, non per approssimazioni successive o cerchi concentrici per cui oggi facciamo qualcosa di privilegiato noi con il Patt, poi domani aggiungiamo un altro pezzettino e alla fine andiamo a trattare con il Pd, che intanto sta lì a guardare. Fin da subito dobbiamo lavorare e partire tutti insieme.

Come a Rovereto?

Nel nostro piccolo sì, ci siamo costruiti un percorso "Idea Rovereto" (acronimo di innovativa democratica ecologista autonomista) condiviso fin da subito. Ora, con Campobase stiamo facendo già incontri con forze politiche, movimenti e sul territorio. Se riusciamo a ridare speranza e competenza, uniti nella prospettiva di una grande alleanza territoriale, troveremo anche quello di cui c'è necessità: una nuova classe dirigente e una leadership, che nascerà spontanea, così ci affrancheremo da personalismi, salvatori della patria vecchi e nuovi, piccole parrocchie, perché non è più il tempo di questo ma di navigare a mare aperto.

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