Crisi / Il caso

«Inutile fare scorte di alimentari. Che poi, cosa ci fate con cinque chili di farina?». L’analisi del professor Segré (ad esempio, ridurre lo spreco)

Non ci sono motivi di allarme, per il momento, eppure la gente svuota gli scaffali. Ma le radici vengono da lontano, fra Ogm, geopolitica del grano, sovranismo alimentare e commercio

di Paolo Micheletto

TRENTO. Non ha alcun senso correre al supermercato e fare la scorta di farina. Ma già da questa mattina possiamo imporci di cambiare le nostre vite, in modo da ridurre gli sprechi e passare ad una alimentazione più varia. E l'autarchia alimentare? Impossibile.

Andrea Segrè, professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata all'Università di Bologna ed ex presidente della Fondazione Mach, non ha dubbi a parlare di «situazione drammatica» ma non giustifica chi riempie i carrelli di farina e pasta: «Un film già visto con la pandemia. Un fenomeno che non va sottovalutato, perché la dice lunga su come il momento viene percepito. Ma oggi è prematuro fare scorte, anche in un'ottica antispreco: quella farina si rischia seriamente di buttarla».

Le scorte ci sono per tutti?

Al momento le scorte ci sono. La pasta non mancherà per alcuni mesi. Evitiamo, quindi, di mettere in moto speculazioni.

L'Italia può puntare sull'autonomia agricola?

No. Anzi, dobbiamo smarcarci subito da chi ha già iniziato a parlare di sovranismo alimentare o autarchia. Non siamo autosufficienti e non potremo esserlo. Importiamo il 44% del grano duro: se vogliamo continuare a mangiare la pasta, a produrla e a venderla, questo è necessario.

Però la produzione si può migliorare.

Certo, si può ottimizzare la produzione. La politica agricola comunitaria, che nasceva dall'esigenza di salvaguardare il reddito dei produttori, ha messo in campo troppe misure per pagare chi non coltivava: una scelta che non ha mai avuto senso.

Ma anche in Italia ci sono tanti terreni non coltivati.

Certo, in Europa ci sono nove milioni di ettari in più che potrebbero essere coltivati. Anche l'Italia può dare il suo contributo, da questo punto di vista: ma l'importante è che gli spazi vengano occupati con una produzione biodiversa. E ogni paese deve fare la sua parte.

A chi si riferisce?

A paesi come l'Ungheria, che ha bloccato le esportazioni dei semi di girasole: in questo modo fa saltare il sistema.

Aumentare la produzione italiana, quindi, non basta.

Aumentare la produzione è possibile ma non basta. Dobbiamo diversificare le fonti di approvvigionamento, ad esempio andando a prendere il mais e il grano dagli Stati Uniti. Ma in questo caso si apre il fronte Ogm.

Cosa ne pensa?

Che dobbiamo mettere la salute al primo posto. E quando gli studi scientifici dimostrano che i prodotti Ogm non sono nocivi, il dibattito si deve spostare sulle coltivazioni intensive e sulle multinazionali.

Lei quindi è favorevole all'utilizzo dei prodotti Ogm.

Dico che il dibattito deve essere chiaro: se non c'è evidenza che gli Ogm facciano male, la ragione del confronto diventa solo commerciale.

Ci sono altri prodotti che vanno "recuperati"?

Veniamo da anni di battaglie contro l'olio di palma: ora possiamo recuperarlo. A patto che non faccia male alla salute e che non si deforesti per produrlo.

Altri interventi da attuare?

Uscire da una dieta così omogenea come oggi. L'utilizzo della soia, del mais e del grano tenero ha portato a una vera e propria dipendenza.

Cosa si può fare sul fronte della riduzione dello spreco?

Tantissimo. I dati ci dicono che lo spreco domestico in Italia vale sette miliardi di euro, ai quali bisogna aggiungere i costi per lo smaltimento. Suggerisco di fare la spesa ogni giorno, o di non affannarsi a fare scorta di cibo. I rimedi, quindi, ci sono: ottimizzare le produzioni, ridurre gli sprechi, consumare più ingredienti.

Non crede che questa emergenza farà cadere molte regole? E che porterà altri rinvii nelle politiche ambientali?

No, non sarà possibile derogare. La tutela dell'ambiente deve restare prioritaria. E la ricerca agricola diventa sostenibile se tutti gli attori in campo, da chi produce a chi trasforma i prodotti, hanno un equo riconoscimento.I prezzi continuano ad aumentare.

Ma guardate che il prezzo delle materie prime incide solo del dieci per cento sul prezzo dei beni alimentari. Il costo dell'energia incide invece da diversi mesi: non siamo in un'economia di guerra ma la tensione sui prezzi non nasce in questi giorni.

Forse è per questo che c'è la corsa a fare la scorta: la pasta e la farina costeranno di più, tra poco.

Ma io credo che sia più importante fare attenzione alla nostra dieta. Cosa ci fanno le famiglie con cinque chilogrammi di farina? Ridurre gli sprechi è molto più immediato ed efficace.

Ma conviene di più fare la spesa al piccolo negozio sotto casa o alla grande distribuzione?

Il consumatore la spesa la può fare dove vuole, dove è più comodo e dove si sente di fare acquisti con fiducia. L'importante è che il suo acquisto sia responsabile e consapevole: ma questo concetto era valido anche prima della guerra in Ucraina o tre anni fa.

Quali sono i prodotti che potrebbero finire prima?

Il grano tenero per il pane o i biscotti e il mais o la soia per gli animali. Vi ricordo che la Primavera araba nell'Africa del Nord è stata prima di tutto una guerra del pane: l'Egitto è il primo importatore di grano duro a livello globale. Rischiamo di non avere il pane solo se tra qualche mese il grano non verrà raccolto e se questo non sarà sostituito dal grano di altre provenienze.

Con la pandemia non ce l'abbiamo fatta. Ma potremo uscire "migliori" da questa crisi, almeno dal punto di vista alimentare?

Io credo che ci sia il tempo per fare un percorso, il cui risultato potrebbe essere non negativo. Dico così, perché non riesco a parlare in termini positivi di ciò che sta accadendo.

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