Guerra / Solidarietà

Gli aiuti trentini arrivati a Kiev, il racconto di Olena: «Qui bombardano, un'emozione veder arrivare quel camion»

Parla la giovane donna che dopo aver vissuto dieci anni in Trentino è rientrata in Ucraina per dare il suo contributo alla difesa del Paese invaso dalle forze russe. «Grazie dei vostri aiuti, i bambini erano felicissimi per la cioccolata arrivata fino a qui. Io aiuto a procurare i giubbotti antiproiettile il cibo e le medicine. Facciamo le molotov e abbiamo i mitra...»

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di Matteo Lunelli

TRENTO. «Questa notte non ho dormito molto: hanno bombardato cinque volte. Boom e poi ancora boom: missili a poca distanza da dove vivo. Alle 5 uno ha colpito la stazione della metropolitana Lukianovka, a un chilometro e mezzo da qui. Ma adesso sono operativa: sto portando dei biscotti ai militari, poi un carrello andrà all'ospedale dove ci sono bambini feriti».

Olena ha 40 anni e ci dice sorridendo, «sì, sì, io sono trentina, anche se nata in Ucraina». Ha vissuto e lavorato a Trento per dieci anni, parla bene l'italiano. Ora però è tornata a Kiev, ha fatto il viaggio contrario rispetto a tanti, con una valigia piena di coraggio e con la speranza di aiutare la sua città, la sua gente, il suo Paese.

Due giorni fa, a proposito di aiuti e della sua gente e la sua città, è arrivato a Kiev un camion. Bancali e bancali di aiuti dal Trentino: tramite l'associazione Rasom (la sua gente) e grazie alla generosità dei trentini (la sua gente), sono arrivati fino al cuore dell'Ucraina martoriata, con i pacchi che sono finiti ai civili e ai miliari, ai bambini e a tutti coloro che hanno bisogno (la sua gente).

«È stata un'emozione veder arrivare quel camion. C'erano le mele, i vestiti, i biscotti, le medicine. Posso solo dire grazie con il cuore a tutti i trentini che hanno donato per noi e a chi ha reso possibile l'arrivo di quel camion. Abbiamo chiesto aiuto ai militari per scaricare tutto: si sono messi in fila con i carrelli vuoti, poi abbiamo portato nei magazzini e iniziato a distribuire. Mi raccomando: scrivi che diciamo grazie ai trentini, ci avete mandato prodotti perfetti. I bambini di Kiev erano felicissimi per la cioccolata, saltavano. Grazie».

Il camion di aiuti trentini è arrivato a Kiev: la distribuzione dei pacchi con la paura delle bombe

Due giorni fa è arrivato a Kiev un camion di aiuti provenienti dal Trentino. Tramite l'associazione Rasom e grazie alla generosità dei trentini, sono arrivati fino al cuore dell'Ucraina martoriata. Ad accompagnare il carico Olena, ucraina ma trentina di adozione, volontaria: i pacchi che sono finiti ai civili e ai militari, ai bambini e a tutti coloro che hanno.

Ieri mattina Olena ha preso alcuni pacchi e li ha portati in giro per la capitale. Qualche ora dopo la telefonata ci scrive. C'è una fotografia: un militare ucraino con un bicchiere di thè o caffè e in mano un pacchetto di Abbracci del Mulino Bianco. Missione compiuta: qualche trentino, in un supermercato trentino, una decina di giorni fa ha comprato quel pacchetto. Che è passato di mano in mano, da un volontario dell'oratorio di Sant'Antonio fino a un membro dell'Associazione Rasom. E poi è stato caricato su un bancale, controllato alle frontiere e scaricato da un ucraino di Kiev proprio nella città simbolo della resistenza. Infine, grazie a Olena, è arrivato a un soldato in prima linea, per un piccolo momento di normalità.

Ma oltre a inviarci la foto, ci spiega che se volessimo pubblicarla sarebbe meglio modificare l'immagine, togliendo lo sfondo che altrimenti risulterebbe riconoscibile.

«Il posto può essere riconosciuto. E ci bombardano. Non vorrei che qualcuno vedesse la foto, magari su Internet, e riconoscesse il luogo: lui è un soldato, meglio non rischiare. Io ho tolto la geolocalizzazione dal telefono, ma se potete fare la modifica sarei più tranquilla».

Un prudente accorgimento che ci ricorda la vita che la "nostra" sta facendo. Scene da film, da serie tipo la Casa di Carta, che invece sono vita reale.

Il sorriso per la fotografia scompare, torniamo a pensare a bombe, missili, fiamme e morte. Olena ci racconta. «Mio marito è a Trento, ma io sono felice di essere qui, non potrei essere in nessun altro posto. Non ho figli, ma da venti giorni i miei figli sono tutti questi soldati che combattono per la nostra libertà e rischiano la vita. Io aiuto a procurare i giubbotti antiproiettile e poi il cibo e le medicine. Facciamo le molotov e abbiamo i mitra: vinceremo noi. Vinceremo perché siamo tanti, siamo milioni di ucraini tutti uniti. Vinceremo per la nostra libertà». Ingenuamente chiediamo se è al sicuro. Domanda stupida, capiamo dalla risposta.

«Non è questione di bunker, qui nessuno è al sicuro. A Kiev e in Ucraina non siamo al sicuro. Non sappiamo se, quando e dove arriverà il prossimo missile». La riprova la abbiamo la sera, quando questa donna coraggiosa ci richiama. «Ascolta», dice. E dal telefono si sente la sirena. Un suono sinistro, costante, prolungato. Angosciante, anche a migliaia di chilometri di distanza, anche se l'abbiamo sentito ai telegiornali.

«Sono a casa, speriamo non arrivino missili. Vedremo tra qualche minuto, quando smette di suonare l'allarme, se sono ancora viva e se siamo ancora vivi». Questa è la guerra, maledetta guerra. La sirena smette di suonare. «Bene, nessun missile qui vicino. Anzi, ci hanno detto da poco che domani (oggi, 16 marzo, ndr) c'è il coprifuoco in tutta la città, non potrò uscire di casa. Ma oggi abbiamo distribuito tantissimi dei vostri pacchi».

E aggiunge: «Scrivi grazie ai trentini». Lo scriveremo, pensiamo. E pensiamo anche al coraggio di Olena. Che deve stare attenta, che deve stare al sicuro. Anche se un posto sicuro, nella Kiev bombardata, non c'è.

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