Salute / Il caso

Pandemia finita? Ioppi: «Bisogna essere cauti. Per il futuro, il Trentino impari dagli errori fatti e investa di più sulla sanità»

Il presidente dell’Ordine dei medici analizza la situazione: «C’è una grave carenza, sia negli ospedali che nella medicina territoriale. Ci sono 300 dottori trentini che lavorano all’estero, dobbiamo provare a farli ritornare»

di Lorenzo Ciola

TRENTO. Uscire dalla fase di emergenza della pandemia senza però correre il rischio di farsi trovare impreparati ad eventuali colpi di coda come già successo nell'ultima ondata.

Marco Ioppi presidente dell'Ordine dei medici analizza positivamente l'andamento sanitario delle ultime settimane, ma guarda soprattutto al futuro e alla necessità di non perpetuare alcuni errori. Il principale investimento è quello in risorse umane, attraendo magari anche qualcuno dei 300 medici iscritti all'Ordine trentino ma che lavorano all'estero.

La prima considerazione di Ioppi è dedicata alla situazione attuale. «Gli ultimi dati sono confortanti e mostrano una tendenza al calo della pandemia - afferma - Anzi, possiamo anche cominciare a parlare di epidemia e non più di pandemia. Questo non vuol dire però che siamo liberi: la presenza del freddo e la mancata areazione costante dei luoghi di lavoro o delle scuole, per esempio, inducono alla prudenza per i mesi di febbraio e marzo. Certo, il grado di immunizzazione garantito da un'elevata percentuale di vaccinati e dai tanti contagiati attraverso la variante omicron lasciano pensare che già nel medio periodo la situazione possa non portare più ai picchi drammatici che abbiamo vissuto».

«Attenzione - precisa Ioppi - non vuol dire che siamo liberi e, pertanto, dobbiamo continuare ad adottare atteggiamenti prudenti come quello di lavarci costantemente le mani o di evitare assembramenti. Anche perché, in questa fase, omicron si è rivelata molto contagiosa, con un impatto che è ancora da capire bene per i giovani e per le fasce pediatriche. Anche per quanto riguarda gli effetti del long Covid».

Si deve dunque guardare in prospettiva.

«Certo - sostiene il presidente dei medici - si impegnerà il sistema sanitario in assistenza e ricerca, ma questo porterà un nuovo carico sul personale. Occorre quindi pensare il futuro della sanità trentina, senza perdere altre occasioni, come abbiamo fatto, ignorando di avere un'autonomia, un'azienda unica, un numero limitato di abitanti… Potevamo essere un modello e invece siamo rimasti purtroppo in alto per quanto riguarda il numero di morti e l'occupazione delle terapie intensive. Nella medicina territoriale abbiamo perso un'altra occasione: per il carico esistente la situazione è peggiore rispetto al 2019. Sarebbe giusto, attraverso, il contratto, dare un riconoscimento a chi nel proprio lavoro rischia ogni giorno».

Quindi, occorre cambiare marcia. Ma come?

«Per prima cosa prendiamo coscienza dei nostri problemi per non farci trovare impreparati - prosegue Ioppi - Prendiamo i posti in terapia intensiva. Nel 2019 erano 5 per 100 mila abitanti, poi abbiamo capito l'importanza di questo parametro ma essere arrivati ad un rapporto tra i 7 e gli 8 posti ogni 100 mila abitanti non risolve i problemi anche perché curare soltanto per il Covid non risolve tutte le altre patologie. Occorre considerare la chirurgia generale, la cardiochirurgia, l'oncologia e altre emergenze che non possono essere spostate. È un problema che come giornale avete raccontato sabato, con 5 mila operazioni rimaste arretrate».

Ioppi chiarisce che gli sforzi ci sono stati per risolvere la situazione ma purtroppo tanti pazienti sono ricorsi a cure fuori provincia. «Una situazione che crea difficoltà a livello sociale, ma che provoca - dice - un senso di abbandono. Per questo non bastano solo nuove sale operatorie ma serve personale qualificato che supporti chi è affaticato e magari demotivato dopo i grandi sforzi profusi».

C'è un urgenza che è quella dei bandi per ricoprire le posizioni scoperte.

«Non solo - chiarisce Ioppi - servono anche incentivi come si fa con le aziende del privato». Nuove risorse vanno attirate adeguando i contratti, offrendo un sistema in cui ci possa essere ricerca, e qui la facoltà di medicina potrebbe aiutare. Serve soprattutto un patto sociale dove anche i cittadini possano essere coinvolti, attraverso l'impegno della medicina territoriale. Migliorando il grado delle relazioni con il paziente si può capire più prontamente il livello di gravità delle patologie a cui dare risposta. Il grado di fiducia con i pazienti si recupera dando loro prestazioni adeguate».

Resta il fatto che i medici e tutto il personale sanitario non annoverano schiere di persone qualificate pronte a venire in Trentino.

«Possiamo pure aggiungere - sostiene Ioppi - che esistono agenzie che contattano i nostri medici per portarli in Svizzera, Germania e Inghilterra dove la professione è più remunerativa e che spesso non è attraente lavorare in contesti con bassa intensità di casi». Però si potrebbe lavorare su una fetta particolare di professionisti. «In questi giorni stiamo controllando lo stato vaccinale dei nostri iscritti. Su 3.400, circa 300 attualmente lavorano all'estero. Forse, se sono ancora legati all'Ordine di Trento potrebbero non aver abbandonato l'idea di un ritorno».

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