Sanità / Il caso

Oggi la Giornata delle persone scomparse, la sorella di Sara Pedri: «Dal Trentino tanto silenzio, nessuno ci ha mai chiamati»

La giovane dottoressa manca da 283 giorni: «Nè il primario Tateo, né il dirigente Benetollo, né l’assessora Segnana ci hanno mai contattati. Un clima omertoso, ho avuto la dimostrazione del "far finta di niente" dei vertici. Vertici che sapevano»

SCOMPARSI In Trentino quest'anno 78 casi
IL CASO La scomparsa della ginecologa Sara Pedri e la bufera sul reparto

LA LETTERA Sara un mese prima di scomparire: «Umiliata e mortificata»
LA SORELLA «È in fondo al lago di Santa Giustina, aiutateci a trovarla»

di Marica Viganò

TRENTO. «Da Trento è arrivata la solidarietà di tantissime persone, ma anche il silenzio di molti. Possibile, mi sono chiesta nei giorni successivi alla scomparsa, che il primario non chiami per capire cosa possa essere successo a Sara? È in quel momento che ho iniziato ad avere dubbi».

Emanuela Pedri parla a nome della famiglia. Oggi, nella casa di Forlì che alle 18 splenderà di una luce verde, ci saranno lei, il fratello Giordano, la mamma Mirella e Stefano, uniti come sempre, ancor più solidi nei loro sentimenti pensando a Sara e a tutte le persone scomparse. Perché oggi è la «Giornata nazionale delle persone scomparse» e anche voi potete ricordarle mettendo una luce verde alla finestra.

«Noi familiari apprezziamo ogni gesto di solidarietà, non importano i nomi, perché l'omertà, il silenzio e la paura in corsia c'erano prima di Sara e ci sono anche adesso. Sappiamo di colleghi che hanno ancora il timore ad esporsi».

Emanuela parla di un «gioco di equilibri» che ha scoperchiato il clima opprimente che si respirava fra le corsie dei reparto di ostetricia e ginecologia del Santa Chiara, e di «un disegno del destino»: «Se avessimo trovato subito Sara, noi familiari non saremmo andati avanti nella ricerca della verità».

Emanuela, c'è stato un "campanello d'allarme", un qualcosa che ha portato lei e la sua famiglia a voler andare a fondo, capire cosa ci sia dietro la scomparsa di sua sorella?

«Tutto ha avuto inizio da una domanda: cosa è successo a Sara? Da questo interrogativo sono partiti una serie di eventi che hanno portato a far emergere i maltrattamenti e quanto altro accadeva nel reparto di ginecologia del Santa Chiara. I colpevoli, mettendo questa parola tra virgolette, devono rendere conto non a noi come famiglia: il primario Saverio Tateo e la viceprimaria Liliana Mereu sono stati indagati dalla procura e giudicati dall'Azienda sanitaria, non dalla famiglia Pedri. Ma per arrivare a questo abbiamo dovuto muoverci in un clima di omertà e di silenzio. Ricordiamoci che fino ad ora si è espressa la Commissione interna dell'ospedale e il Comitato dei garanti (Tateo è stato licenziato, ndr). Per la politica, i consiglieri provinciali Degasperi e Cia si sono impegnati per cercare di far luce sulle malegestioni precedenti».

Come si fa ad andare avanti se non si trovano sponde, se c'è chi vuole coprire la realtà?

«Muoversi nell'omertà e nel silenzio è come trovarsi in un terreno non fertile, in cui si deve intervenire con terriccio nuovo e semini. È stato un coltivare gli animi con la parola, animi che in quel momento provavano una grande paura. Un gioco di equilibri. Siamo partiti dal cuore dell'ospedale, da quei 158 medici spaventati: si è fatto leva sulla loro sensibilità, sui sensi di colpa, perché abbiamo tutti dei sensi di colpa, sulle loro coscienze positive, sulla loro bontà, Così è stato possibile iniziare un dialogo, sono uscite le loro sofferenze, le angosce, le paure, le esperienze di vita. Noi come famiglia stiamo conducendo la nostra battaglia parallela, dolorosissima, affidandoci alla procura. Abbiamo sempre consigliato a tutti di andare in procura, perché le parole alle volte contano poco per cambiare le cose: bisogna denunciare, e la parola denuncia non è negativa, può salvare vite».

Lei non ha mai fatto mistero, pur non parlando con rancore, del silenzio di molte persone, di coloro che occupano ruoli apicali nella sanità trentina. Il dottor Tateo, come è emerso recentemente, era stato ampiamente "promosso" dal direttore dell'ospedale Santa Chiara per le qualità professionali e anche per la gestione dell'Unità operativa di ginecologia…

«E ancora oggi si continua ad aver paura lì dentro... Ci sono tante persone coinvolte in questa storia, persone potenti e meno potenti, persone che sono state usate e persone corresponsabili di quanto accaduto nel tempo, a prescindere da ciò che è successo a Sara. La mala gestione è arrivata dall'alto e non cambia nulla se ai vertici rimangono le persone che per anni hanno mal gestito la situazione, che hanno messo Tateo e Mereu in quei ruoli. Come potevano i dirigenti non sapere ciò che stava accadendo in quel reparto dato che le lamentele c'erano e il turn over dei medici dimostrava lo scontento?»

Sara manca da 283 giorni. Che tipo di contatti ci sono stati tra la famiglia e i vertici della sanità trentina?

«Il dottor Benetollo (si è dimesso ad inizio luglio dalla direzione dell'Apss e ora è direttore del servizio ospedaliero provinciale, ndr) non ci ha chiamato direttamente, ma ha affidato alle forze dell'ordine un messaggio per noi. Dall'Azienda sanitaria trentina non abbiamo mai ricevuto alcuna chiamata diretta, nessuno ci ha mai interpellato. L'assessora provinciale Segnana ha solamente detto pubblicamente "scusa" alla nostra famiglia per aver definito Sara "fragile". Nessuna chiamata neppure dalla maggioranza politica, per capire cosa sia successo. È questo atteggiamento che ha portato me e la mia famiglia a voler fare chiarezza. Paradossalmente questa mancanza di educazione ci ha fatto nutrire dubbi: è quando si è responsabili di qualcosa che si assume un atteggiamento omertoso, di silenzio. Non avendo ricevuto neppure la chiamata dal primario, ho iniziato lì a pormi delle domande».

È il silenzio di Tateo che l'ha spinta a rivolgersi alla procura per fare chiarezza sulla scomparsa di sua sorella?

«Sara lavorava in ospedale, era circondata da medici. Per mesi l'hanno vista spegnersi giorno dopo giorno e non hanno fatto nulla. E quando è scomparsa evidentemente nessuno di loro ha pensato che fosse su una spiaggia ai Caraibi... C'è stato il silenzio. Mi hanno colpito anche le parole delle colleghe di Sara, raccontandomi che avevano tirato un sospiro di sollievo nel sapere che mia sorella era stata trasferita da Trento a Cles. In quel momento In quel momento ho avuto la dimostrazione del "far finta di niente" dei vertici. Vertici che sapevano e che, ripeto, non si sono mai fatti sentire con noi».

Sara era arrivata a Trento a metà novembre 2020 dopo la specializzazione. Un incarico che l'ha vista subito in prima linea con l'emergenza Covid in corso. Il lockdown può avere avuto un ruolo nel suo spegnersi giorno dopo giorno?

«Può aver accelerato il processo. Qualcosa non andava già a metà dicembre, Sara parlava del carico di ore e della solitudine. Ma era stato un Natale sereno: non aveva voluto raggiungerci per paura di portare il virus, perché era molto prudente e si preoccupava per la salute di mamma. Sara era abituata a stare lontano da sola, aveva studiato a Catanzaro, non aveva mai mostrato segni di depressione o sofferenza mentale. Il campanello d'allarme è scattato quando ci ha detto che non ascoltava più la musica, lei che amava ballare. In quel momento mi sono mossa come potevo, le mandavo messaggi di sostegno, così anche nostra madre, gli amici e il fidanzato. Volevamo raggiungerla a Trento, ma lei aveva fatto muro».

Emanuela, qual è il suo messaggio per la giornata delle persone scomparse?

«Vorrei spiegare a tutti che viviamo in una società prepotente, del consumo, ma che siamo in primis persone che devono essere rispettate. Ognuno deve farsi rispettare, perché non siamo marionette. La nostra famiglia ha preso la strada della procura e c'è tanto ancora da fare. L'obiettivo è di arrivare ad un cambiamento non solo nel reparto in cui ha lavorato Sara, un cambiamento collettivo, perché le persone non devono più sentirsi sole. Il sacrificio di Sara non deve essere vanificato, deve diventare la luce verde che si accenderà oggi da sud a nord, una luce di incoraggiamento, di sostegno per tutte le persone che come lei si sono ritrovate in un ambiente tossico, sole, spaventate, paralizzate, isolate. Abbiamo trovato un grande aiuto nell'Associazione Penelope, nei volontari che hanno perso i loro cari e che danno un sostegno alle famiglie. Se avessimo trovato subito Sara non si sarebbe mosso tutto questo. Ma sarebbe morta un'altra Sara».

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