Giustizia / Il caso

Infiltrazioni nel porfido, la Cassazione libera Schina, a rischio l'aggravante associazione mafiosa per tutti gli imputati

Clamorosa revisione dell’ordinanza del Tribunale di Trento nell’inchiesta Perfido: il provvedimento è limitato ad un solo imputato (che si è fatto per niente mesi di carcere), ma le motivazioni potrebbero minare l’impianto accusatorio di tutti

TRENTO. Mentre a Trento il procedimento penale sull'inchiesta Perfido è avviato lungo la strada del giudizio, a Roma vacilla di fronte alla Corte di Cassazione l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.

La Seconda sezione penale della Suprema Corte ha accolto il ricorso dell'avvocato Daniele Francesco Lelli del Foro di Roma, legale di Alessandro Schina. Quest'ultimo è indicato dall'accusa come legato al gruppo romano dell'associazione a delinquere cresciuta intorno alla "locale" 'ndranghetista scoperta a Trento grazie alle indagini dei carabinieri del Ros.

La Cassazione ha annullato senza rinvio - circostanza assai rara in fase cautelare - l'ordinanza con cui il Tribunale di Trento, in sede di Riesame, il 15 giugno scorso aveva respinto il ricorso della difesa contro la misura cautelare. La Suprema corte ha ordinato «l'immediata liberazione di Schina Alessandro».

Come interpretare la decisione della Cassazione? E soprattutto, quali effetti potrebbe avere sul prosieguo del procedimento penale? Per rispondere con certezza occorre attendere le motivazioni attese entro 30 giorni.

Sin d'ora però si possono fare due ipotesi sulle ragioni che hanno portato i giudici ad annullare la misura cautelare senza rinvio. Due sono i motivi principali posti a base del ricorso dell'avvocato Lelli. In primo luogo secondo la difesa l'imputato non faceva parte della consorteria di Trento. Nell'ottica della difesa Schina, incensurato, sarebbe estraneo ai fatti contestati. Se passa questa tesi la difesa può comunque festeggiare l'immediata liberazione, ma le conseguenze favorevoli sarebbero limitate al solo Schina.

Il secondo argomento riguardava invece la sussistenza o meno dell'associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo l'avvocato di Schina l'accusa non sussiste in quanto la "locale" trentina non si sarebbe manifestata sul territorio con gli strumenti tipici della'ndrangheta e del metodo mafioso: non ci sono stati omicidi, non c'era traffico di droga, mancava uno stato di omertà diffusa e di paura, nessun pentito. Qualora abbia fatto breccia in Cassazione questo secondo argomento, verrebbe meno l'aggravante dell'associazione mafiosa.

E di questo beneficerebbero tutti gli imputati.

Secondo l'accusa Schina «cura gli interessi dell'organizzazione criminale mantenendo i rapporti con imprenditori, con soggetti istituzionali e con le amministrazioni comunali, (a Roma e dintorni, ndr) al fine di garantire il controllo delle attività economiche». Comunque sia, per Schina è la fine di un incubo durato oltre un anno in custodia cautelare (di cui quasi sette mesi in carcere a Melfi).

Duro su questo il commento dell'avvocato Lelli: «La vita lavorativa e familiare nonché la salute di un cittadino incensurato sono state distrutte da 14 mesi di custodia cautelare, illegittima. Accogliamo con grande soddisfazione la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, ma rimane il rammarico delle precedenti erronee valutazioni dei giudici di Trento».

Per Schina e per gli altri imputati anche nella più favorevole ipotesi il processo certo non si chiude qui. Anzi, dal 13 gennaio il primo gruppo di imputati dell'inchiesta Perfido affronterà l'udienza preliminare. Le difese si preparano a lanciare una raffica di eccezioni preliminari. Qualcuno potrebbe anche percorrere la strada impervia di far trasferire il processo altrove. Alcuni imputati stanno valutando di chiudere ogni pendenza con un patteggiamento, ma in tal caso la difesa chiede ai pm che venga tolto di mezzo il reato associativo. Le motivazioni della Cassazione sul ricorso di Schina avranno dunque un peso sulle scelte processuali anche degli altri imputati

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