Inquinamento / Giustizia

Discarica a Ceramica di Ton: stangata del giudice, condanna a 5 anni e 4 mesi ad Alessandro Iori dopo sei anni di processo

Condannata anche la ex moglie, ed altri due imputati patteggiano: nell’area dismessa 21 tonnellate di materiali, anche amianto, e di notte la ciminiera senza filtri che fumava...

TON. Dopo sette anni si è chiuso in Tribunale a Trento il processo per i rifiuti – tra cui anche sacchi contenenti amianto - accumulati nell'area intorno al compendio di Ceramica di Ton. Alessandro Iori, nativo del Bleggio ma residente a Dimaro, imputato in qualità di amministratore di fatto delle società Ceramicadue srl e Ceramica srl e di un'azienda agricola, è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione.

La giudice Greta Mancini ha riqualificato l'imputazione contestata dalla procura a Iori: caduta l'accusa più grave di discarica abusiva, il giudice ha ritenuto sussistente invece più reati di deposito abusivo di rifiuti. Per altre imputazioni l'imputato è stato assolto o il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione. Alessandro Iori è stato anche condannato a risarcire l'amministrazione comunale di Ton costituita parte civile con l'avvocato Giovanni Rambaldi: il danno ambientale, ingente anche se parte dei rifiuti nel frattempo è stata portata via, dovrà essere quantificato attraverso un separato giudizio civile.

Inoltre il giudice ha ordinato «la restituzione all'avente diritto delle aree in sequestro e la confisca e restituzione nei modi di legge di quanto ulteriormente in sequestro». Insomma anche se non è scattata la confisca dell'area perché è venuta meno l'accusa di discarica abusiva, pare di capire che i proprietari delle aree dovranno comunque bonificare la zona dai rifiuti rimasti.

È stata condannata, ma ad una pena notevolmente inferiore (5 mesi di arresto) e per imputazioni minori anche Anja Iori, ex moglie di Alessandro Iori e titolare di un'azienda agricola, difesa dall'avvocato Luca Pontalti. Il legale sosteneva che l'imputata era incolpevole perché si era limitata ad eseguire disposizioni venute dal marito.

Altri due imputati - Sergio Aurelio Bonicalzi residente a Tres (amministratore unico di Ceramicadue srl) e Dei Agnoli Sabina residente a Salorno - avevano scelto la via del patteggiamento e dunque sono usciti dal processo prima del lungo dibattimento. Per Sabina Dei Agnoli il giudice Mancini ha disposto la trasmissione degli atti in procura perché si valuti se procedere nei suoi confronti per il reato di falsa testimonianza. L'inchiesta sull'inquinamento a Ceramica di Ton partì nel 2010 con i primi sequestri ed iscrizioni nel registro degli indagati. La richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm Licia Scagliarini è del 2014. Il dibattimento doveva partire nel 2015 ma si perse un anno perché cambiarono alcuni avvocati difensori.

Il processo è durato di fatto sei anni durante i quali sono stati sentiti circa 40 testimoni, sono stati fatti sopralluoghi in loco, sono state depositate agli atti complesse consulenze tecniche. Nel frattempo il Comune di Ton - che aveva emanato numerose ordinanze per costringere i proprietari dei terreni a ripulire l'area intorno alla fornace, è riuscito a far rimuovere parte dei rifiuti.Dentro il vasto complesso, ampio circa 50mila metri quadrati, da anni venivano abbandonati rifiuti in parte pericolosi, nascosti nel bosco. Erano saltati fuori anche 30 big-bags da 1 mc cadauno ammassati l'uno sull'altro nel piazzale «contenenti rifiuti pericolosi da demolizione di natura eterogenea consistenti in frammenti di cemento amianto».

E poi bidoni di plastica, imballaggi, rifiuti lignei e metallici e persino due containers ricolmi a loro volta di rifiuti vari del peso complessivo di 21.700 kg.

Iori replicava sostenendo che i rifiuti erano stati accumulati ben prima che lui subentrasse.

Ad attirare l'attenzione degli investigatori - polizia giudiziaria, carabinieri di Denno, Uopsal dell'Azienda Sanitaria e non ultimo l'Ufficio tecnico comunale - erano stati i fumi che si levavano nottetempo dalla dismessa fornace intestata a una società che la Procura riconduceva all'imputato. L'impianto, privo di presidi per il contenimento delle sostanze inquinanti, era alimentato da scarti di legna proveniente da coltivazioni agricole. Così era venuta alla luce anche l'attività di smaltimento dei rifiuti, proprio dove un tempo venivano realizzati coppi e tegole.

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