Religione / Il discorso

L’omelia del vescovo: “Adulti non toccati dalla morte e abitati dal mito dell’eterna giovinezza”

È la fotografia del mondo adulto, descritta da Lauro Tisi (nel giorno del suo 59° compleanno) nell’omelia della Santa Messa nella Solennità di Ognissanti

TRENTO. Uomini e donne “senza trascendenza e senza trascendenze”, che rifiutano il “senso del limite” e sembrano non essere toccati “nemmeno dalla morte stessa”, abitati come sono dal “mito dell’eterna giovinezza”. È la fotografia del mondo adulto, descritta dall’arcivescovo di Trento Lauro Tisi (nel giorno del suo 59° compleanno) nell’omelia della s. Messa nella Solennità di Ognissanti, nel primo pomeriggio di questo 1° novembre  (ore 14.30) in Cattedrale (non sul cimitero cittadino, causa maltempo - anche in diretta streaming e TV).

Un mondo che “sembra essere dominato – spiega don Lauro  – dalla spasmodica ricerca del godimento” e in cui “questo adulto, allergico ad ogni responsabilità, pensa la propria esistenza come laboratorio di continue sperimentazioni possibili. Amara illusione, a cui fa da contraltare il tasso di angoscia, di frustrazione, di rabbia che segna il nostro tempo”.

 

“Per questi uomini e donne in cerca di libertà, e nello stesso tempo angosciati, come Chiesa abbiamo la possibilità di consegnare il nome di Gesù e il suo Vangelo”, sottolinea l’Arcivescovo, indicando in particolare l’opportunità di “offrire quale proposta di vita e di pensiero, la mitezza, unica possibilità di intercettare la legittima domanda di libertà e unicità alla quale, per il momento, l’uomo si illude di trovare risposta nella via pericolosissima del godimento fine a se stesso”.

La pagina evangelica delle beatitudini, proclamata in questa solennità, lascia “intravvedere – secondo monsignor Tisi – la possibilità di un mondo diverso, profondamente umano, non più di vinti e vincitori, ma di fratelli e sorelle, di compagni di viaggio”. “Questa – conclude – è la santità offerta dal Risorto come regalo alla Chiesa, vissuta da tanti nostri fratelli che già abitano nella terra di Dio, uniti a noi nella comunione dei santi”. 

L’omelia integrale del vescovo

Nei giorni scorsi, interpellato da una giornalista su quali siano i rischi maggiori per i giovani di oggi, mi è venuto spontaneo rispondere: “L’adulto”. Gli adulti che popolano l’attuale momento storico sono stati definiti “uomini e donne senza trascendenza e senza trascendenze”. Sul piano dell’esperienza concreta, tale realtà si traduce per l’adulto in una sorta di rifiuto del senso del limite. La morte stessa sembra non toccarlo, abitato com’è dal mito dell’eterna giovinezza.

A dominarlo sembra infatti essere la spasmodica ricerca del godimento, nelle sue molteplici forme, che lo rende perfettamente funzionale alla società dei consumi. Questo adulto, allergico ad ogni responsabilità, pensa la propria esistenza come laboratorio di continue sperimentazioni possibili. Amara illusione, a cui fa da contraltare il tasso di angoscia, di frustrazione, di rabbia che segna il nostro tempo.

La stanchezza che abita oggi le nostre comunità, rendendole spesso spazi dove si replicano gesti rituali e pratiche organizzative senza passione, non autorizza certo a sperare di raccogliere l’attenzione e l’interesse di questo universo adulto. Per questi uomini e donne in cerca di libertà, e nello stesso tempo angosciati, come Chiesa abbiamo la possibilità di consegnare il nome di Gesù e il suo Vangelo.

È in questa via che dobbiamo muoverci, per offrire all’uomo contemporaneo, quale proposta di vita e di pensiero, la mitezza. Essa è l’unica possibilità di intercettare la legittima domanda di libertà e unicità alla quale, per il momento, l’uomo si illude di trovare risposta nella via pericolosissima del godimento fine a se stesso. In questa direzione si muove la pagina evangelica delle Beatitudini, vera autobiografia di Gesù di Nazareth, soprattutto nelle due forti affermazioni: “beati i poveri in spirito” e “beati i miti”.  Il mite e il povero in spirito non è colui che non ha potere, forza, libertà, volontà. Mite è colui che è più forte della propria forza, più potente della propria potenza, più libero della propria libertà.

Egli si apre all’altro perché vuole che l’altro sia se stesso. Ma, soprattutto, perché intravvede la possibilità di un mondo diverso, profondamente umano, un mondo liberato dalla logica della gara e della concorrenza. Un mondo non più di vinti e vincitori, ma di fratelli e sorelle, di compagni di viaggio.

Interessante, a questo riguardo, è la contropartita della mitezza descritta dalla pagina evangelica: ereditare la terra. Questa è la santità offerta dal Risorto come regalo alla Chiesa, vissuta da tanti nostri fratelli che già abitano nella terra di Dio, uniti a noi nella comunione dei santi.  Essa libera dalla logica del conflitto e del litigio, dall’odio e dall’emarginazione degli altri per via delle loro idee o delle loro abitudini, facendo ritrovare il gusto di essere comunità.

È una sfida grande quella che ci sta davanti, ma una sfida possibile: la forza della Pasqua la mette a nostra disposizione. Non abbiamo alternative, se non vogliamo rendere insignificanti le nostre comunità.    

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