Economia / Lavoro

Sbloccati i licenziamenti, ma in Trentino mancano dipendenti (qualificati)

Industriali e sindacati d’accordo: «Niente sussidi a chi rifiuta un impiego, più controlli e politiche attive». Entrambe le parti chiedono di potenziare l’Agenzia del Lavoro: in Trentino il problema sembra essere la scarsa capacità di mettere in contatto domanda e offerta (ed alla fine non si trovano dipendenti)

di Franco Gottardi

TRENTO. Lo sblocco dei licenziamenti deciso dal governo a partire da oggi non fa paura in Trentino. Non solo perché il compromesso raggiunto a Roma promuove la messa in atto di tutti gli ammortizzatori disponibili, ma soprattutto, e per fortuna, perché non c'è la sensazione di una fila di aziende in crisi che scalpitano per liberarsi del personale. «Non ci aspettiamo numeri importanti» conferma il direttore di Confindustria Roberto Busato.

Più cauto Andrea Grosselli, segretario della Cgil, sul fronte sindacale: «È impossibile fare previsioni dettagliate, servirebbero i dati sulla cassa integrazione a 0 ore ma l'Inps non li fornisce e la cabina di regia per il monitoraggio delle aziende in crisi non è mai stata convocata dall'assessore Spinelli». Ma, in attesa di capire meglio gli "effetti collaterali" della pandemia, su una cosa imprese e sindacato sembrano concordare pienamente: il lavoro c'è ma sta cambiando e serve un grosso investimento nella ricollocazione e professionalizzazione; e per farlo bisogna ripensare le politiche attive e rilanciare ruolo e potenzialità dell'Agenzia del lavoro e dei Centri per l'impiego.

Sembra paradossale ma il problema sembra essere la scarsa capacità di mettere in contatto domanda e offerta. E soprattutto di stimolare chi usufruisce di indennità di disoccupazione o assegni di cittadinanza e di sostegno ad accettare possibilità di impiego che implicano la perdita dell'assegno statale. Manca insomma un sistema di politiche attive sul lavoro, un tasto su cui il sindacato insiste da tempo.

«La legge ci dà l'obbligo di condizionare l'attribuzione degli ammortizzatori sociali al fatto che il soggetto che li riceve sia disponibile ad accettare il lavoro che gli viene eventualmente offerto, il problema è che non c'è un sistema di controllo e di segnalazione degli eventuali rifiuti» spiega Grosselli. Una sottolineatura, quella delle condizionalità, che il direttore di Confindustria condivide pienamente.

«Ci fa enorme piacere che il sindacato abbia maturato questa sensibilità - commenta Busato - perché oggi noi dobbiamo avere la possibilità di condizionare il sussidio passivo. È giusto che a chi perde il lavoro venga dato da vivere dignitosamente ma bisogna fare anche in modo che queste persone si attivino nella ricerca di un lavoro: se il sistema ti offre un impiego tu devi accettarlo, altrimenti se lo rifiuti perdi anche il sussidio. Come avviene nei Paesi del Nord Europa». Anche perché potenzialmente per chi ha buona volontà il lavoro c'è. «Sono tantissime - testimonia il direttore di Confindustria - le richieste di ricerca di personale e le telefonate che arrivano in associazione da parte delle aziende. E se non chiedono personale chiedono di trovare il modo di formare i lavoratori. È accaduto infatti che molta gente che lavorava nel turismo, faceva il cameriere o il cuoco, oggi si trova a lavorare di fronte a un tornio, per fare un esempio».

Servono lavoratori qualificati soprattutto nel campo della digitalizzazione, che significa saper usare un computer almeno per far funzionare macchine a controllo numerico. «Quindi quello che stiamo facendo, anche con l'Agenzia del Lavoro, - prosegue Busato - è cercare di garantire per alcuni mesi le persone che escono dal mercato del lavoro con gli ammortizzatori, ma al tempo stesso mettere in atto ammortizzatori attivi, cioè percorsi di formazione e riqualificazione per le tantissime aziende che hanno bisogno di personale adeguatamente formato».

 

Un sistema che secondo Grosselli ha ampi margini di miglioramento: «Qualcosa è stato fatto. Ultimamente ad esempio di fronte alla carenza di autisti di autobus e mezzi pesanti sono stati fatti corsi e formate diverse persone, ma bisogna fare di più».Il problema è che a quanto pare il sistema non è attrezzato per gestire tutte queste situazioni. Oggi lavorano nei servizi per l'impiego sul territorio provinciale 100 addetti che hanno un'età media di 55 anni. «Ora ne saranno assunti altri 20 - spiega Grosselli - ma si tratta di stabilizzazioni di orientatori esterni che lavorano per il Consolida, non è un vero potenziamento del servizio».

 

Anche qui il confronto coi modelli nordeuropei è emblematico. «In Svezia stanno facendo una riforma del pubblico impiego e stanno diminuendo gli addetti statali, che in rapporto alla popolazione sono 7 o 8 volte di più rispetto al Trentino e caleranno a 5 volte!». Certo per cambiare servono investimenti non indifferenti. «Ma le risorse ci sono- assicura il segretario della Cgil - perché nell'ottobre scorso sono arrivati 15 milioni dallo Stato e altri 50 ne potranno arrivare coi soldi europei del Recovery Fund».

 

A proposito. «Il Recovery Fund - sottolinea Busato - ci darà moltissime opportunità ma abbiamo una burocrazia che rischia di non riuscire a spendere questi soldi. Serve una grande professionalità. O saremo in grado di migliorare o continueremo a non riuscire a fare le politiche attive del lavoro».

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