Pandemia / Il rapporto

Quasi centomila mamme hanno perso il lavoro nel 2020, il Trentino è fra le aree che resistono meglio

L'analisi di Save the Children nel dossier "Le Equilibriste: la maternità in Italia": la crisi ha colpito più duramente le donne e quasi un terzo di quelle rimaste senza occupazione hanno figli. In provincia indicatori positivi per quanto riguarda scuole dell'infanzia, asili e altri servizi
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ROMA. L'anno della pandemia è stato difficile per le mamme italiane, circa 6 milioni, che hanno dovuto districarsi tra lavoro e i figli piccoli rimasti a casa poiché non hanno potuto contare sul supporto di asili nido e scuole materne.

Complessivamente nel 2020 sono state 249 mila le donne che hanno perso il lavoro e ben 96 mila erano mamme, di queste 4 su 5 hanno figli con meno di 5 anni.

Sono quelle madri che a causa della necessità di seguire i più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse.

La quasi totalità - 90 mila su 96 mila - erano già occupate part-time prima della pandemia.

Mamme ancora più in difficoltà nel Sud, con Campania e Calabria agli ultimi posti, mentre la situazione va meglio al nord, dove al vertice, come avviene dal 2012, ci sono ancora una volta le Province autonome di Bolzano e Trento.

L'aspetto positivo è che in tutte le Regioni c'è un miglioramento generale, dovuto a una propensione maggiore a un'equa distribuzione nei carichi di cura e lavoro familiare all'interno delle coppie, anche se non ancora sufficiente a ridurre gli squilibri esistenti.

Il dato emerge dal sesto rapporto "Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021" che Save The Children lancia alla vigilia della Festa della mamma per fare una analisi della condizione delle madri in Italia durante la pandemia.

"Il valore del Mother’s Index, pari a 100 per l’Italia nel 2004, primo anno considerato, rappresenta - si legge nel rapporto - un valore obiettivo in base al quale cogliere una condizione socio-economica più favorevole per le donne, in caso di valori superiori ad esso, o al contrario condizioni meno vantaggiose quando il valore si attesti su livelli inferiori ad esso.

Il valore generale dell’indice è aumentato nel 2008 (102,525) e nel 2012 (102,530) per poi decrescere nel 2017 (99,128) e nel 2018 (98,328); nel 2019 si registra una lieve ripresa che porta il valore dell’indice composito a 99,128.

Nel 2019, a guidare saldamente la classifica delle regioni sono, come nel passato, quelle del Nord, con valori più alti (in alcuni casi, sensibilmente) rispetto alla media nazionale; al contrario, le regioni del Mezzogiorno si posizionano tutte al di sotto di tale media.

Nello specifico, vediamo come le Province autonome di Bolzano e Trento siano le capofila con, rispettivamente, circa 115 e 113 di indice AMPI, seguite da Emilia-Romagna (109,148), Valle d’Aosta (109,060), Lombardia (107,433) e Toscana (106,962); sembra un segno evidente di una maggiore attenzione volta ad assicurare e a conservare una più elevata qualità delle condizioni socio-economiche delle donne grazie a investimenti di carattere strutturale nel welfare sociale.

Un caso particolare appare quello della Lombardia che, negli anni, fa registrare un andamento ondulatorio. Di contro, al lato opposto della classifica, troviamo Sicilia (79,921), Campania (80,020) e Calabria (80,776). L’indice mostra sempre valori sotto 93 per le regioni del Mezzogiorno anche se il trend sembra in lievissimo miglioramento".

Non è un caso, sottolinea Save The Children, se il nostro Paese detiene il primato delle madri più anziane d'Europa alla nascita del primo figlio (31,3 anni contro una media di mamme in Ue di 29,4), per non parlare del tasso di natalità che durante la pandemia ha registrato un decremento del 3,8%, pari a 16 mila nascite in meno, rispetto all'anno precedente.

Visto il quadro "fosco" Save The Children invoca urgenti politiche per l'infanzia, in particolare chiede alla politica di "mettere subito in atto misure in grado di creare un sistema integrato da zero a sei anni, che offra un servizio di qualità e gratuito in cui i bambini abbiano la possibilità di apprendere e di vivere contesti educativi necessari al loro sviluppo".

Nel rapporto il Trentino svetta nel dominio dei servizi, che analizza due indicatori di contesto: la percentuale bambini che frequentano la scuola dell’infanzia e l’indice di presa in carico dei bambini all’asilo nido e altri servizi integrativi per la prima infanzia.

"La serie storica - si legge - dal 2004 al 2018 fa registrare un costante peggioramento, dovuto in particolare alle carenze relative ai servizi pubblici per la prima infanzia; il valore del 2019, a livello nazionale, fa registrare una sensibile ripresa che può far ben sperare per gli anni a venire.

Quasi tutte le regioni registrano un peggioramento dal 2004 al 2018 (tranne le Province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli Venezia Giulia, che, in controtendenza, hanno registrato qualche miglioramento); mentre nel 2019 i segnali di ripresa sembrano coinvolgere gran parte delle regioni assottigliando la variabilità tra nord, centro e sud. Sempre costante la crescita delle Province autonome di Trento e Bolzano che, assieme a Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Toscana sono le uniche, nel 2019, a presentare valori sopra il valore di riferimento rappresentato dall’Italia al 2004".

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