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Il rettore Deflorian: «L'università patrimonio di tutti. Guardiamo alle radici ma anche al mondo»

Il confronto all'Adige coordinato dal direttore Alberto Faustini: il nuovo numero uno dell'ateneo spiega la sua visione, spaziando dalle tasse universitarie agli studentati che sorgeranno, dalla facoltà di medicina al Cibio, dai vaccini ai test salivari, dall'Euregio al rapporto con il mondo imprenditoriale

IL VIDEO "L'università è un bene di tutti"

di Giorgio Lacchin

TRENTO. «Vorrei che tutto il territorio trentino sentisse l'Università di Trento sempre più come un patrimonio comune. Una ricchezza di tutti».

È naturale che Flavio Deflorian esordisca così, perché è il primo rettore dell'ateneo a essersi laureato proprio qui (in Ingegneria) e appena il secondo rettore trentino (il primo - anzi, la prima - fu Daria De Pretis).

Ieri, protagonista di un dibattito nella redazione dell'Adige coordinato dal direttore Alberto Faustini, ha spiegato come sarà la "sua" Università spaziando dalle tasse universitarie agli studentati che sorgeranno, dalla Facoltà di Medicina al Cibio, dai vaccini ai test salivari, dall'Euregio al rapporto con il mondo imprenditoriale trentino. E molto altro ancora.

L'università che verrà: parla il nuovo rettore Flavio Deflorian

Il forum all'Adige con il confronto tra il direttore del giornale, Alberto Faustini, e il rettore da poco eletto, Flavio Deflorian

Un'Università non "di Trento" ma "di tutti". Di tutti i trentini. Qui fa capolino il rettore che avvicina le valli alla città.

«Ci proviamo».

Sembra giusto, rettore Deflorian.

«Penso ad esempio che nel 2026 avremo le Olimpiadi invernali e stiamo lavorando per organizzare delle cose in comune con le località coinvolte: le valli di Fiemme e Fassa, Piné. Altre iniziative coinvolgeranno altri territori. Credo sia importante che ogni abitante del Trentino capisca che l'università non è solo un luogo dove mandare i figli a studiare, ma dove si fa ricerca e innovazione; dove si produce conoscenza a vantaggio universale. Perché la prima parte della parola "università" richiama l'assenza di confini, ma la nostra università ha un territorio di riferimento ed è il Trentino».

I suoi primi passi, professor Deflorian, fanno pensare a continuità e cambiamento assieme. Nella squadra dei 6 prorettori ha nominato tre prorettrici. Ma cosa caratterizzerà i suoi anni?

«L'università, se si ferma, è morta. Bisogna evolvere, crescere. Ho ereditato un'università sana e protagonista di iniziative robuste, e qui proseguirò in continuità. Poi ognuno ha il proprio stile. Sul tema della visibilità delle colleghe, come accennavate, volevo dare un piccolo segnale ma ciò che dev'esser chiaro è che le ho scelte in base alla competenza, creando comunque un quadro rappresentativo di tutte le sfaccettature dell'ateneo. Io credo in un'università che avanza coralmente».

Un'università radicata sul territorio. Ma il rapporto col resto del mondo?

«Noi guardiamo alle radici ma anche lontano. L'Università di Trento ha sempre avuto una vocazione fortemente internazionale. La nostra rete di collaborazioni è forte, ma da rafforzare. Siamo messi molto bene nelle classifiche ma siamo un'università piccola, in una regione piccola, in uno Stato che conta sempre meno».

Questo è parlar chiaro.

«Oggettivamente è così».

Lo è.

«Dunque se rimaniamo in una rete internazionale di relazioni possiamo giocare un ruolo importante, ma se ci chiudiamo in noi stessi non siamo niente. Si pensa sempre che per essere protagonisti si debba essere al centro delle cose: credo invece che visto il mondo in cui siamo immersi possa essere interessante lo stare sul confine delle cose».

La storia del Trentino è una storia di confini.

«Il Trentino "cerniera" tra il mondo di lingua italiana e quello di lingua tedesca. Queste sono opportunità che in futuro potrebbero essere sfruttate positivamente».

Euregio: una parola che le piace o le sembra un limite?

«L'Euregio è una grandissima opportunità che va sviluppata. Un esempio di collaborazione transfrontaliera che ha già dato buoni frutti e ne può dare ancora di più. Nella pandemia abbiamo assistito all'innesco di logiche nazionalistiche: abbiamo rivisto il confine del Brennero che speravamo di non vedere più. Okay, è un momento particolare, però riaffermare la validità del concetto di Euregio significa ribadire che noi quei confini non li vogliamo».

Le giriamo ciò che gli studenti ci chiedono di domandarle, rettore Deflorian. Primo: perché non avete abbassato le tasse visto che nell'ultimo anno è stata un'Università dimezzata?

Secondo: l'Università si sta battendo per calmierare gli affitti delle stanze agli studenti?

Tanto più che loro hanno pagato nonostante siano costretti a seguire le lezioni a distanza. Terza e ultima domanda: quando ricomincerà l'Università davvero in presenza per tutti?

«Comincio dalla fine. Per l'autunno penso solo a una didattica in presenza. Non riesco a pensare ad altro. Dipenderà certamente dalle vaccinazioni, dal tracciamento, ma l'obiettivo è tornare in presenza. Con le mascherine, il gel, quel che volete, ma si deve ripartire perché non se ne può più».

Bene. Adesso le tasse.

«L'ho già detto agli studenti: le tasse non sono un corrispettivo per un servizio ma un contributo che copre in minima parte i costi a carico della fiscalità generale, in un momento, tra l'altro, in cui la pandemia crea differenze economiche molto forti.

Alla luce di tutto ciò, non credo sia giusto un taglio generalizzato. Faccio un esempio. Ho una figlia che studia a Bologna: perché dovrebbero abbassare le tasse a me che posso pagare, anche se mia figlia è stata più a casa che a Bologna? Non credo sarebbe giusto perché il mio stipendio non è calato di un euro.

Credo invece che se avremo le risorse andranno utilizzate per aiutare chi veramente soffre per questa situazione. Perché l'Università di Trento è una comunità e vorrei che gli studenti si sentissero parte di uno sforzo collettivo per cercare di gestire in maniera dignitosa questo periodo di emergenza. Dando anche il loro contributo in termini di tasse, quando la famiglia se lo può permettere».

E quando non se lo può permettere?

«In questo caso va fatto il massimo sforzo per supportare oggi e domani - perché la crisi non sarà breve - chi da questa emergenza economica uscirà ammaccato ma avrà comunque la volontà di mandare il proprio figlio all'università».

Cambiamo discorso. Parliamo della Facoltà di Medicina. Secondo lei è fondamentale che trovi spazi nel Not che verrà?

«Penso che per i primi anni di studio, di didattica preclinica, non ci sia bisogno di essere dentro o vicino all'ospedale. Con il quarto anno e l'insegnamento clinico, invece, la frequentazione dell'ospedale è un elemento irrinunciabile e sarebbe dunque un valore aggiunto».

Qui volevamo arrivare.

«Aule e uffici potrebbero allora essere ricavati all'interno dell'ospedale. Anche perché noi puntiamo sulle specializzazioni, e soprattutto loro sono in osmosi col mondo ospedaliero. Ma sia chiaro, non è che senza questi spazi non si faccia medicina. Non solo: il progetto Medicina vede un'integrazione con tutto il mondo ospedaliero trentino».

Anche gli ospedali periferici?

«Certo, anche loro potrebbero avere occasioni di interazione in alcuni settori, per alcune specializzazioni. Se parliamo di ortopedia, ad esempio, Tione e Cavalese non sarebbero marginali».

Un campus biomedico a Trento Sud che raggruppi Facoltà di Medicina, ospedale e le strutture dedicate alla ricerca, legate al mercato e alle aziende: sogno o realtà possibile?

«In questo momento il centro universitario di ricerca del Cibio è a Povo e non abbiamo in programma spostamenti. Anche se a Povo sta stretto e vanno cercati spazi di espansione. Ma voglio chiarire una cosa su Rovereto: Rovereto è uno dei grandi poli industriali del Trentino e può sviluppare nuove iniziative. A Rovereto ci sono i due più importanti acceleratori di imprese: Meccatronica e la Manifattura, che è il polo green. Affinché il tavolo stia in piedi manca la terza gamba, cioè l'attività che riguarda l'ambito biotecnologico. Impiantare quel centro a Rovereto può creare sinergie, e noi ci mettiamo anche contenuti di ricerca. E questo non è un piano di ripiego: non movimenta centinaia di studenti ma è un'iniziativa di grande impatto e rilievo».

Parliamo dei rapporti con la Provincia. C'è stata tensione, in questi ultimi mesi, sulla questione della nomina del presidente dell'Opera universitaria: la maggioranza a trazione leghista voleva cambiare la norma e nominare il presidente senza un accordo con l'Università. Avete risolto la questione?

«Ci stiamo lavorando. Credo che la maggioranza debba riflettere sull'opportunità di questa modifica. Io penso non sia opportuna. Cercherò di parlare con tutti per trovare una soluzione e far capire quali sono i valori che noi vogliamo siano rispettati».

I rapporti con la Fondazione Mach. Pare proprio che alla Fondazione il Centro C3A, così com'è, non vada più bene. Avete trovato una soluzione?

«Tocca ripetermi».

Pazienza.

«Ci stiamo lavorando, anche qui. Secondo la Fem, il C3A ha bisogno di un cambio d'impostazione che potrebbe avere un impatto significativo. Noi vogliamo trovare un equilibrio soddisfacente per tutti. Quello che vorrei fosse chiaro è che non è in discussione la collaborazione tra l'Università e la Fem nei temi su cui opera il C3A. Si discute soltanto delle modalità operative e delle interazioni sulle scelte strategiche e sugli aspetti finanziari. Ma le iniziative proseguono, prova ne sia l'istituzione della laurea magistrale che completa il percorso Agrifood. Partirà l'anno prossimo: abbiamo già accreditato il corso di laurea e dobbiamo dunque cominciare».

L'Università e gli imprenditori. In che rapporti siete?

«I rapporti con Confindustria sono molto buoni».Cosa chiede Confindustria all'Università?«Una richiesta esplicita riguarda la formazione permanente. Ed è una grande sfida per il futuro. Ma con gli industriali sono stato franco: l'Università non può insegnare l'operatività per il semplice motivo che cambia continuamente. Noi, invece, vogliamo creare le basi di competenza affinché le persone abbiano la capacità di migliorare continuamente. E se l'azienda non vuole formarle per l'ultimo miglio - chiamiamolo così - secondo me sbaglia».

Rettore Deflorian, l'orizzonte dell'Università di Trento sono i 20mila studenti.

«Noi vogliamo aumentare i numeri. L'obiettivo è passare dagli attuali 17mila ai 20mila».

Ventimila studenti richiedono spazi adeguati. Parliamo allora delle grandi sfide dal punto di vista edilizio.

«Dovrò affrontare parecchi nodi. Nel polo di Povo si sta stretti. Serviranno spazi, ma l'area c'è già; occorrono i soldi, e ci stiamo lavorando. In città, Palazzo Consolati non servirà solo agli studenti di Medicina ma fornirà ulteriori spazi alla didattica perché ormai è parte del patrimonio edilizio dell'ateneo».

Dove sorgerà lo studentato di Rovereto?

«Francamente non lo so. C'erano varie ipotesi ma serve un dialogo a tre: Università, Comune e Provincia. Ma Rovereto, rispetto a Trento, ha spazi di espansione maggiori».

Cosa dice, invece, dello studentato di Trento in zona Piedicastello?

«I soldi ci sono e credo che i lavori partiranno nei prossimi mesi».

Questione vaccini. Il Cibio aveva annunciato che era pronto a creare il proprio ma stiamo ancora aspettando. Poi si è parlato di un secondo vaccino del Cibio e l'aspettativa è ovviamente straordinaria. E un'altra domanda: a che punto siamo con il test salivare?

«Comincio dai salivari per dire che si parte. Il test salivare può essere molto importante per il nostro territorio. Penso all'utilizzo nell'ambito delle attività sportive ma anche in quello universitario: se a settembre vogliamo partire in ateneo con le lezioni in presenza al 100%, i test salivari potrebbero essere fondamentali per il tracciamento degli studenti e potremmo farli su larga scala».

Passiamo al vaccino del Cibio.

«L'Università si è mossa nell'ipotesi che i docenti che lo hanno creato cedessero la proprietà all'ateneo, ma abbiamo trovato resistenza da parte loro. E non saprei da cosa derivi».

Questo per quel che riguarda il primo vaccino. Ma c'è un secondo vaccino.

«E il secondo sembra avere una serie di vantaggi: potremmo definirlo un vaccino "elastico" perché potenzialmente più "aggiornabile" rispetto alle varianti del virus. Anche in questo caso, però, siamo in attesa di capire se gli inventori vogliono coinvolgerci oppure no».

È in corso una trattativa?

«Il rettore che mi ha preceduto, Collini, ha fatto una proposta ma la risposta non è ancora arrivata. E sono passati dei mesi, ormai. Noi siamo favorevoli all'idea di sviluppare queste idee ma senza un accordo con gli inventori non possiamo far nulla. E il nostro scopo, ovviamente, non sarebbe di far soldi ma una valorizzazione del prodotto per un impatto positivo sulla società».

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