Personaggi / La storia

Le mille vite di Felice vaccinato a 103 anni: “Più che speranza bisogna avere certezza nel domani”

Manzinello è stato orfano da piccolo, poi seminarista, ufficiale e combattente nella Seconda Guerra Mondiale nel deserto della Libia, catturato dagli inglesi e internato per 5 anni in un campo di prigionia in India. Poi è riuscito a tornare a casa, ha fatto il maestro elementare per 30 anni e tanto altro

di Gigi Zoppello

TRENTOFelice Manzinello ha 103 anni (e mezzo, aggiunge con orgoglio), e mercoledì mattina si è recato al punto vaccinale di Trento Fiere per farsi fare il vaccino Pfizer.

Com'è andata?

«Finora tutto bene» dice dal suo appartamento dove vive ancora da solo e in autonomia (con le premurose attenzioni dei tre figli). «Per 48 ore, dovrebbe andare bene». Perché, dice, vale la pena vivere.

«Quelli, gli impiegati, le infermiere.... si sono fatti tutte le meraviglie che uno di 103 anni si presentasse a fare la vaccinazione» dice sorridendo. «Mi hanno trovato in buone condizioni, e ringrazio il cielo. E ringrazio tutto l'insieme, la mia famiglia, i miei ragazzi che mi hanno aiutato a crescere bene, e rinnovo il mio ringraziamento».

Felice Manzinello ha avuto molte vite, e molto diverse. E' stato orfano da piccolo, poi seminarista, ufficiale e combattente nella Seconda Guerra Mondiale nel deserto della Libia, catturato dagli inglesi e internato per cinque anni in un campo di prigionia in India. Poi è riuscito a tornare a casa (ma ci ha messo un anno), ha fatto il maestro elementare per 30 anni (prima a Povo, poi al Sacro Cuore e infine alle Verdi di Trento), la guida turistica (la prima, a Trento, a saper parlare l'inglese, imparato in prigionia). Ed è in pensione dal 1971.

Cosa vorrebbe dire alle persone anziane? Che bisogna avere sempre speranza?

«Ah ben, più che speranza, che bisogna avere certezza nel domani. Anche se del domani non sai nulla; anche se oggi non sai cosa ti potrebbe capitare domani, non pensare al mal di pancia che ti arresta, alla polmonite che ti arresta: se sei in grado di fare le cose...». E cita un una frase in dialetto trentino: «Se na roba te sei bon de farla ti, perché farla fare ai altri?». Adora i suoi figli, dei quale dice che lo hanno aiutato a imparare, «perché è insegnando che impari tante cose. Mentre insegnavo, imparavo molte cose, ed è per questo che oggi credo di sapere molto. Anche se oggi, a 103 anni, qualcosa mi scappa. Ma sono contento della vita, sono sempre stato contento. Anche i cinque anni della prigionia, non li ho persi per niente: ho studiato le lingue, ho studiato gli usi e i costumi, ho studiato la gente intorno a me. Quindi personalmente devo dire di esserne orgoglioso».

Ma com'è la vita a 103 anni?

«Beh, sono quasi normale, soltanto che i limiti... ci sono. Scarso di qua e scarso di là... cioè, diciamo perso per strada. Però ho guidato la macchina, fino a 100 anni».E a 95 andava in giro in bicicletta, da Trento a Besenello per andare a trovare un figlio che vive là.Felice Manzinello è un uomo contento. Ci racconta della fanciullezza trascorsa a Mori: «Mio padre era vicentino, quindi italiano, ma faceva il sarto a Mori. Allo scoppio della guerra, nel 1915, ha dovuto però tornare al suo paese, a Laghi (sulle Prealpi di Schio, subito dietro la Borcola, ndr). Là lo guardavano con sospetto, perché veniva dall'Austria, come a Mori qualcuno lo guardava male, perché era italiano. Alla fine, è stato italiano, austriaco, trentino, tirolese...».

Felice nasce quindi vicentino, nel 1917, e alla fine della Grande Guerra, nel 1918, la sua famiglia torna a Mori. Pochi anni tranquilli, nei quali il piccolo Manzinello si dimostra un alunno intelligente e dotato, ma quando ha soli 8 anni il papà muore. Però siccome è bravo quanto povero, per farlo studiare - viste le ristrettezze della famiglia - lo si manda in Seminario a Trento.

«Ero arrivato alla quarta ginnasio, e un giorno i sacerdoti mi rispedirono a casa, perché dissero che non ero fatto per la vita religiosa. Mi mancavano sei mesi al diploma, e devo dire che la gente di Mori fu generosa. Dissero che era un peccato non finire gli studi, e che avrei potuto diventare un prezioso maestro per il paese: mi pagarono la scuola, per farmi finire, li ringrazio ancora».Il fatto è che, finite le scuole, deve fare il militare: arruolato come allievo ufficiale. «Mi dissero che dovevo fare il corso, e potevo scegliere fra 5 o 6 città. Non avevo mai viaggiato in vita mia, quindi scelsi quasi la più lontana, Salerno: il treno che passava per Rovereto ci arrivava, e almeno pensai che potevo vedere un po' di Italia con pochi soldi di biglietto».

Per Manzinello, il destino era in agguato. Giusto il tempo di prendere le mostrine e farsi assegnare a Trento, che scoppia la seconda guerra mondiale.«Sono stato mandato in Africa, in Libia. Un giorno, quasi subito, ero di pattuglia per controllare una pista nel deserto, e con i miei soldati siamo stati sorpresi dagli inglesi, e catturati senza neanche sparare un colpo».Per Felice Manzinello iniziarono 5 anni di tribolazioni: quattro di prigionia in India («dal 1941 al 1945, prima nel Nord, poi trasferiti a sud»), e ancora un intero anno per riuscire a tornare a casa con una nave della Croce Rossa: «Eravamo migliaia e migliaia di soldati, sono riuscito a tornare solo nel 1946. E da lì ho iniziato a insegnare come maestro».Felice è anche un disegnatore formidabile: in casa tiene album e grandi fogli sui quali ha ritratto la sua prigionia: le montagne dell'Himalaya all'orizzonte, i volti dei prigionieri, quelli delle popolazioni indù. «La prigionia era blanda: ci contavano al mattino e poi di nuovo la sera. In mezzo, non c'era niente da fare. In molti passavano il tempo nella noia, io ne ho approfittato per imparare l'inglese, il francese e un po' di hindi».

Oggi, di tante esistenze passate, ha un ricordo dolce: «Non ho mai smesso di studiare, di leggere, di imparare. Come ho detto, insegnando si impara, e io ho imparato tanto, grazie al cielo».

Fra le estati a Ziano di Fiemme («Lì facevo la guida turistica, guadagnavo bene, non come la paga da maestro, e con quesi soldi mi sono costruito una casetta») e i corsi di italiano per i militari americani in settimana bianca sul Monte Bondone («Vacanze sulla neve, le chiamavano, facevamo i corsi alla ex colonia di Candriai»), Manzinello ha avuto una lunga esistenza piena di soddisfazioni.

L'ultima? Andare a farsi il vaccino, e vedere "le meraviglie" del personale sanitario per un uomo di 103 anni che si fa vaccinare.Ma, come dice lui, non bisogna avere speranza nel futuro. Bisogna avere certezza.

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