La fauna selvatica è in forte sofferenza

 L'allarme arriva dalla Sat, che ha organizzato un webinar con esperti di fauna alpina per fare il punto della situazione

di Daniele Benfanti

TRENTO. La fauna selvatica sulle montagne trentine in questo inverno è a rischio, tra grandi quantitativi di neve che riducono la presenza di cibo e il disturbo arrecato dai tanti scialpinisti, ciaspolatori e sciatori fuoripista, che con la chiusura degli impianti di risalita quest'anno si sono moltiplicati in attività alternative alla discesa. L'allarme arriva dalla Sat, che ha organizzato un webinar con esperti di fauna alpina per fare il punto della situazione. Eloquente il titolo: «Un inverno difficile. Uomo e natura nella montagna invernale».

La Società degli Alpinisti tridentini propone l'istituzione delle cosiddette «aree di quiete», ovvero aree di rispetto in cui gli sport invernali e l'accesso di escursionisti sono vietati, per tutelare la presenza della fauna selvatica, che in inverno riduce spostamenti e habitat. «Vogliamo portare questo ragionamento in un confronto insieme a Provincia, Parchi naturali, istituzioni scientifiche del territorio» anticipa Chiara Fedrigotti, della commissione Tutela ambiente montano della Sat. Luca Pedrotti, biologo del Parco dello Stelvio, aggiunge: «Con i semplici divieti non si ottiene molto. Serve l'orgoglio di voler creare delle zone di tranquillità per gli animali selvatici in inverno e decidere dove concentrare i flussi antropici per motivi ricreativi e sportivi».

Dunque, spazi ben delimitati anche per discipline non di massa come scialpinismo, free ride, sleddog, ciaspole, snowboard, fat bike, hiking. «Lo fanno in maniera estesa e da tempo in Austria e Svizzera» ricordano dalla Sat. In questo inverno 2020-21, con tanta neve e impianti rimasti chiusi per il rischio Covid, il numero di scialpinisti ed escursionisti nei boschi innevati è salito a dismisura. «Paradossalmente - spiega Pedrotti - gli animali selvatici, come gli ungulati e i galliformi, si abituano a un disturbo prevedibile e ripetuto, come la presenza degli sciatori in pista in certi orari. Soffrono se la presenza umana è improvvisa, inattesa, come avviene con escursionisti, scialpinisti e ciaspolatori. Gli animali si spaventano soprattutto se sentono arrivare qualcuno alle loro spalle da monte, veloce in discesa. Tendono a scappare a quote più elevate, dove però la presenza di cibo è ancora minore». Nell'ultimo inverno trentino che fu tanto nevoso come quest'anno, quello del 2008, furono ritrovate ben 700 carcasse di cervi sul territorio provinciale. Quest'anno è prevedibile che la morìa di ungulati arrivi a numeri simili.

«Tuttavia - precisa Pedrotti - nelle aree Parco non ha senso foraggiare gli animali per farli sopravvivere. Scientificamente e come approccio naturale è meglio lasciarli a selezione naturale e puntare su buone pratiche per contenere il disturbo umano che li metterebbe in ulteriore difficoltà, spingendoli a bruciare energie per fuggire in zone più remote e meno ricche di risorse». Gli animali selvatici, infatti, in inverno tendono a risparmiare energia, quindi dover fuggire da un habitat o un areale abituale comporta spreco di calorie e stress, che determinano, a loro volta, immunodepressione e rischio malattie. Alcuni tetraonidi mettono in atto strategie sorprendenti di sopravvivenza: ad esempio, il fagiano di monte, che non ha riserve di grasso, scava nella neve delle buche che trasforma in una sorta di igloo dove scaldarsi, quasi immobile, e sfuggire ai predatori che sul manto bianco lo avvisterebbero senza difficoltà. Altri galliformi riescono a nutrirsi anche di piccole radici e rametti di larice, avendo un apparato digerente che riesce a metabolizzare la legnina. Tra gli ungulati, capaci di abbassare il proprio battito cardiaco in inverno, i caprioli soffrono di più, perché - a differenza di cervi, stambecchi e camosci - non riescono a mangiare le erbe più coriacee e le fibre grezze. E va sfatato il luogo comune che gli orsi vadano tutti in letargo. «Ogni anno, anche in Trentino - spiega il biologo Pedrotti - c'è qualche orso che sfugge al letargo, come abbiamo visto con il giovane esemplare maschio in Val di Rabbi, "appassionato" di arnie, e l'orso che è sceso a fondovalle in Rendena. Le nevicate precoci e abbondanti, evidentemente, gli hanno impedito a qualche esemplare di trovare cibo in tempo, immagazzinare grassi e quindi concedersi il letargo».

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