Ruscitti: "Ecco perché la Provincia non farà lo screening di massa: noi cerchiamo i sintomatici"

di Giorgio Lacchin

Senta, dottor Ruscitti, il governatore Fugatti ha definito lo screening di massa deciso dal collega Kompatscher in Alto Adige «un esperimento interessante». Non s’è scaldato molto, insomma.
«È proprio l’impostazione logica degli altoatesini che noi non condividiamo».

Giancarlo Ruscitti (Dirigente generale del Dipartimento Salute e Prevenzione della Provincia Autonoma di Trento) parla chiaro: gli altoatesini testano gli asintomatici? Noi preferiamo lavorare sui sintomatici e abbiamo deciso di investire nei drive through e nel progetto con le farmacie. E si badi bene: la Provincia non nasconde nulla. La parola, dunque, al dirigente del Dipartimento salute e politiche sociali.

Ci dica, Ruscitti: avete in serbo un’azione particolare per cercare di scovare più positivi possibile?
«Il Trentino è sempre stato aperto alla ricerca. La collaborazione con l’Istituto superiore di sanità - che in primavera ci portò a testare la presenza degli anticorpi nella popolazione di 5 comuni subito dopo il primo passaggio del virus - ha un valore internazionale. Purtroppo non le venne riconosciuta la giusta rilevanza ma in conferenza stampa Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della salute, ha detto che non c’è oggi, a livello mondiale, un altro caso come quello trentino in cui un numero così importante di persone si sia prestato su base volontaria a un doppio prelievo di sangue per verificare se gli anticorpi siano rimasti».

Verificarlo era importante?
«Fondamentale. Tra marzo e maggio nei 5 comuni più afflitti dalla pandemia - Borgo Chiese e Pieve di Bono-Prezzo nelle Giudicarie, Vermiglio in alta val di Sole, Campitello e Canazei in alta val di Fassa - facemmo un prelievo di sangue a tutti coloro che si presentarono, sia che fossero stati ammalati sia che non lo fossero stati. Il sangue venne mandato all’Istituto superiore di sanità e venne verificato che circa il 25% della popolazione presentava anticorpi antivirus. Erano dunque persone che avevano contratto il Covid-19».

Sì, ricordiamo.
«A settembre, poi, sempre d’accordo con l’Iss abbiamo richiamato i positivi - solamente loro - per verificare se dopo 4 o 5 mesi gli anticorpi fossero ancora presenti. La verifica è fondamentale perché se faccio un vaccino, in pratica, inoculo a bassa dose il virus e stimolo una risposta anticorpale; così, se questa persona entra in contatto con un malato, il suo sistema immunitario risponde».

Come quando facciamo il vaccino contro l’influenza.
«Assolutamente uguale. E noi abbiamo creduto e investito in questo tipo di indagine».

Invece l’Alto Adige ha investito sullo screening di massa.
«Adesso le spiego qual è il tema logico che non condividiamo».

Vediamo se ci convince.
«Eseguire uno screening di massa è “fotografare” la popolazione in un preciso istante. Ma un istante dopo, una persona risultata dapprincipio negativa può essere positiva».

Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare presso l’Università di Padova, diceva proprio questo: un’operazione come quella altoatesina sono «soldi buttati». Testuale.
«Non voglio commentare Crisanti».

Anche se non lo commenta, il suo pensiero pare assomigliare moltissimo a quello del professore.
«Noi stiamo facendo gli screening sulle categorie più esposte, come i dipendenti delle case di riposo, che in questo periodo vengono testati una volta alla settimana. Ma per quel che riguarda la popolazione in generale, nel momento in cui il virus è diffuso ormai a livello familiare è molto più importante differenziare i sintomatici: capire cioè chi abbia realmente il Covid e chi invece presenti sintomi simili ma non lo abbia. E qui entra in gioco il progetto portato avanti con le farmacie».

La Provincia punta molto su questa operazione?
«Altroché! Per evitare che ci siano quarantenamenti eccessivi siamo partiti con un progetto, anche questo concordato con il ministro della salute Speranza, il dottor Giovanni Rezza e il dottor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità».

Lo illustri.
«Il nostro piano prevede che dopo almeno 24 ore di sintomi si facciano, su richiesta del medico o del pediatra, i test rapidi nelle farmacie».

Cos’ha portato questo modo di operare?
«Abbiamo verificato che all’incirca il 70% delle persone testate è negativo, mentre il 25% circa ha il Covid. E ringrazio i farmacisti perché questa operazione ci consente di avere una presenza capillare sul territorio e di fare quello che è comunque uno screening, non di massa ma sui sintomatici. Ed è importante, e faccio un esempio: agendo in questo modo siamo stati in grado di dire ai bambini, ammalati di venerdì, che il lunedì avrebbero potuto tornare a scuola, se fossero guariti, perché la loro era soltanto una febbre e non il Covid».

Quanto costa alla Provincia tutto ciò?
«Costa. Ovvio che costa. Perché noi stiamo dando i tamponi, paghiamo l’infermiere, paghiamo le spese generali delle farmacie. Ma la Provincia ha deciso di investirci. Sulle farmacie e sui 18 drive through che abbiamo a livello provinciale».

Ma non erano undici?
«Si sono aggiunti quelli dell’Esercito».

Okay.
«E abbiamo esteso l’orario su Trento fino alle 21, tre volte alla settimana. Tenete presente che fino ad ora abbiamo testato almeno una volta - con un test molecolare o antigenico - circa 230mila trentini. E vorrei far presente un dato che lo stesso assessore altoatesino alla sanità, Thomas Widmann, ha riportato con un certo stupore: tra tutte le persone che si sono presentate allo screening di massa è stato trovato un 1% di postivi».

Esatto.
«Ma hanno testato gli asintomatici».

Per forza.
«Se voi fate caso, invece, al dato di Bolzano relativo ai test effettuati normalmente, la positività è intorno al 15-17% tutti i giorni».

Il raffronto la fa pensare?
«Noi abbiamo preferito lavorare sui sintomatici. E sottoporre a screening - oltre alle case di riposo - i dipendenti delle aziende e periodicamente le categorie più a rischio».

Però deve spiegarci questa anomalia: uno studio dell’Agenas - l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali - rivela che in Trentino su 100 positivi al Covid, 18 risultano ricoverati in ospedale; una percentuale quattro volte superiore alla media italiana. Com’è possibile?
«Ci stiamo ragionando».

Sempre più gente pensa che la Provincia nasconda il numero reale dei positivi.
«Noi non nascondiamo nulla. Questa è una provincia seria. Il sottoscritto ha lavorato con politici di colore diverso. E come me molti altri. Non è possibile che due anni fa fossimo ritenuti persone serie e ora non lo siamo più».

Torniamo ai dati fuori scala degli ospedalizzati rispetto ai positivi.
«Due cose: primo, noi siamo uno dei territori italiani con più posti letto per gli anziani. Secondo: nelle ultime settimane stiamo vedendo un aumento, purtroppo, nel numero degli over 70 positivi, e tra questi ce ne sono molti che hanno patologie pregresse: prima queste patologie erano ben gestite a domicilio, ora è più difficile perché il Covid colpisce i polmoni. Queste persone hanno dunque bisogno di un periodo transitorio in ospedale».

La “classifica” di Agenas, insomma, non la convince.
«Secondo quella classifica la Campania è la regione migliore d’Italia... Ammetterete, a questo punto, che qualche dubbio possa sorgere».

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