Covid, il nipote racconta la battaglia del nonno «Ha lottato come un leone»

di Elena Piva

Il Covid-19 si è portato via una generazione di grandi trentini. I nostri nonni, insomma. Cinquecentosettantasette persone: un numero drammatico, ma che bisogna ricordare soprattutto in questi giorni in cui stiamo dimenticando tutto troppo velocemente.

Dopo dieci giorni consecutivi senza vittime, lunedì è arrivata la notizia di un decesso. Si trattava di Armando Nicolussi Moretto, di 73 anni. Era l’ultima persona ricoverata in un reparto di Rianimazione in Trentino per il Coronavirus. Incrociando le dita, vista la situazione, si potrebbe anche trattare dell’ultima persona morta per Covid-19 in Trentino. Ha lottato come un leone, il signor Armando.

Ha sconfitto il Coronavirus verso la fine di aprile, ma le complicazioni di quel maledetto avevano lasciato i segni. Nonostante questo ha saputo reagire a due operazioni. Ha anche atteso che i tamponi dell’amata moglie, la signora Patrizia, fossero finalmente negativi prima di esalare l’ultimo respiro. È rimasto ricoverato per 94 giorni, dal 13 marzo al 14 giugno, e per 80 nel reparto di Rianimazione. Tutti speravamo in una scena da film americano, con l’ultimo paziente che usciva dal reparto tra gli applausi di medici e infermieri, riabbracciando la famiglia. Così non è stato, ma grazie al nipote Alessandro Gasperi, possiamo raccontarvi la storia di Armando. Che è la storia di un trentino che non ce l’ha fatta, ma i cui insegnamenti resteranno per sempre. «Ci teniamo a esprimere la nostra infinita gratitudine a medici e infermieri. E io ci tengo a ricordare che di Covid si muore. Punto. E si soffre».

Nonno Armando, lo chiama. E, se possiamo, ci permettiamo di considerarlo un po’ il nonno di tutti noi, di tutti i trentini che hanno lottato, sofferto e pianto per quel maledetto virus. Alessandro, 21 anni, lavora in un hotel sul Garda e ha tenuto un diario quotidiano. «L’ho fatto a partire dal 13 marzo, il giorno in cui l’ambulanza è andata a casa a prendere il nonno. Ci è salito sulle sue gambe, anzi è andato incontro ai soccorritori per evitargli inutili manovre. Aveva un po’ di febbre e tosse da qualche giorno, ma era sano. Nessuna patologia, nessun medicina. Una roccia. È andato al Santa Chiara e gli hanno fatto il tampone. Il 14 ci hanno chiamato alle 6 del mattino: positivo».

Uscendo di casa il signor Armando toglie l’orologio e lo appoggia sulla scrivania della camera da letto. Il dispositivo, ricaricabile mediante movimento, si è fermato il giorno successivo, la mattina del 14 marzo. Il cuore del proprietario si fermerà invece il 14 giugno. Ma le lancette di quell’orologio hanno ripreso a girare: adesso lo indossa il nipote, ed è un po’ come se gli insegnamenti del nonno continuassero.
Alessandro prosegue il racconto. «Il 14 l’hanno trasferito a Rovereto, in medicina, perché in quei giorni era il “Covid hospital”. Poi è andato in media intensità. In quei giorni ci ha scritto un messaggio: “Che bello, oggi dimettono il mio amico”. Amico? Ma se erano in stanza insieme da pochi giorni? Poi ho capito che cinque giorni lì dentro insieme valgono come anni fuori. Ricordo un momento particolare, perfetto per descrivere il suo spirito altruista ed empatico: durante una videochiamata, con la mascherona calata sul viso, mi ha domandato: “hai fatto la spesa oppure ti manca qualcosa?”. Non si è mai preoccupato per sé, sempre per gli altri».

Le condizioni di Armando Nicolussi, purtroppo, peggiorano. Il 27 entra nel reparto di Rianimazione, il giorno successivo viene intubato. Grazie a “Vicino a te” il personale invia foto e bollettini medici. «E ogni tanto le telefonate, ma in quei giorni sapevamo che la situazione era drammatica», spiega Alessandro. Tra fine marzo e inizio aprile in alcune occasioni i medici chiamano preoccupati la famiglia, dicendo di tenere il telefono acceso.

«Ma nonno Armando ha continuato a lottare, è riuscito a tenere duro», e quella telefonata non è arrivata. Anzi, verso fine aprile arrivano i risultati dei nuovi tamponi: negativo. Il guerriero ha sconfitto il Coronavirus. «Purtroppo il virus ha lasciato dei danni. Due operazioni ai polmoni, ma in entrambi i casi si è ripreso. Abbiamo avuto dei permessi speciali per andare a trovarlo: ci siamo bardati e abbiamo potuto tenergli la mano. È venuta anche la nonna, dopo che ha sconfitto il Coronavirus: lei è stata positiva per 9 settimane e in quel periodo io mi sono trasferito da lei. Stava in una stanza e le passavo da mangiare, poi pulivo e disinfettavo. Ma anche lei ha vinto la battaglia, dopo nove tamponi di cui sette positivi».

Una grande donna e una grande nonna anche la signora Patrizia, confida Alessandro. È lei che ha sempre spronato il signor Armando. Un uomo che ha saputo dare tanto alla propria comunità. Generoso ma riservato, «ha vissuto pensando sempre a noi, alle sue figlie, ai nipoti, alla famiglia. Il 20 di giugno saremmo dovuti partire per un viaggio di famiglia, per festeggiare i 50 anni di matrimonio con la nonna. Ci mandava i messaggi dall’ospedale “Vedrete che viaggio, ci divertiremo”. Invece domenica scorsa siamo andati a trovarlo ed è stata l’ultima volta. Poco prima delle 18, un’ora dopo che lo avevamo salutato, è arrivata la telefonata».
Nonno Armando, come ci permettiamo di chiamarlo, se n’era andato. Novantaquattro giorni di ricovero, ma 73 anni a prendersi cura delle persone che amava. Un grande trentino che se n’è andato. Uno dei 577 che hanno reso grande la nostra terra. Ma che l’hanno lasciata per questo maledetto virus.

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