Da Pergine alla Panarotta dove Vaia ha devastato c'è ancora molto da fare

di Luigi Oss Papot

È passato un anno da quando, quella sera del 29 ottobre, il monte Orno, la montagna che da millenni protegge Pergine e il fondovalle dai temporali provenienti da est, nulla ha potuto contro i venti impetuosi di Vaia. È passato un anno ma quella montagna, che a ben guardare è un formicaio di masi e piccoli paesi fatti di gente che non si arrende al richiamo di maggior comodità della grande città, porta ancora i segni di quelle due ore di apocalisse.
Vignola, Falesina, il Compet, i Compi, la Panarotta hanno resistito al passaggio della tempesta, pagando però un caro prezzo: non si sono pianti morti, fortunatamente, ma si è rimpianto qualche beneficio che la modernità, quella sì arrivata anche a 2.000 metri di quota, ha portato. È bastato un pomeriggio di pioggia torrenziale e due ore di vento a portare via pezzi di strada, a far schiantare alberi sulle linee elettriche e del telefono, a far riversare piante e detriti sull’unica via di collegamento a valle.
In quelle ore per chi ha visto, per chi c’era, è cambiato tutto: è mutato il paesaggio, si sono aperti nuovi scorci, boschi interi sono implosi, spazzati a terra da un vento che mai nessuno, prima d’ora, giura di aver mai visto da queste parti.
Una situazione che è tornata ad una normalità apparente solo dopo settimane, quando finalmente oltre 20 chilometri di strada sono stati liberati da tutti gli alberi che la ostruivano e i punti crollati sono stati sistemati provvisoriamente, in attesa di un rifacimento definitivo, quando il generatore di emergenza a gasolio, che dalla piazza del municipio forniva corrente a tutto il territorio, è stato spento perché le linee erano di nuovo collegate.
Oggi, ad un anno di distanza, risalire su per la montagna è come percorrere questo film: guardandola da Pergine, non si nota nulla, forse solo un po’ la cima è leggermente spelacchiata; anche i primi chilometri proseguono fra il verde dei larici, dei pini e degli abeti. Poi all’improvviso un tornante e un pugno arriva allo stomaco: squarci, ferite profonde nella natura sono la più palese evidenza che molto è stato fatto, ma ancora molto resta da fare.
Facendo due conti approssimativi, il 14% del patrimonio boschivo del territorio comunale di Vignola-Falesina è a terra (170 ettari su una superficie di 12 chilometri quadrati): stime molto al ribasso parlano di 32 mila metri cubi di legname.
Il Comune, guidato dal sindaco Danilo Anderle, si è subito attivato nei giorni dell’emergenza: il conto finale delle opere necessarie supera il milione di euro. «Solo a maggio di quest’anno - spiega il sindaco - si è potuta mettere la parola fine agli interventi più importanti sul territorio comunale. Ma per quanto riguarda i boschi la situazione è ancora lontana da essere risolta».
Il Comune si è fatto capofila, su interesse e mandato dei proprietari, per le trattative con le imprese. Il territorio è stato diviso in 4 macro-aree: «Ma le aree sono comunque grandi -racconta Anderle- frammentate in tantissime particelle fondiarie, e in parecchi casi i proprietari di un bosco sono diversi, quasi sempre per eredità e successioni. Per poter procedere serve l’assenso di tutti, ma è difficile anche solo arrivare a contattare tutti gli interessati i quali, spesso, interessati non lo sono per niente, perché neanche sapevano di avere un bosco». A breve partiranno i lavori ai Compi, e forse anche quelli di una strada per raggiungere la località Slompi, per gli esboschi.
«L’interesse da parte delle imprese c’è - conferma il sindaco - ma finché non c’è l’assenso di tutti i proprietari non si può muovere un dito. In questo senso, la Provincia poteva recepire il decreto nazionale, che passato un anno dava potere d’intervento forzoso ai sindaci. Forse è mancato il coraggio di prendere questa decisione».
Sul territorio, pure l’Asuc di Pergine si sta muovendo: cinque i lotti di legname, suddivisi sulle aree di proprietà degli Usi civici, tutti aggiudicati a ditte locali del settore. Si è proceduto a sistemare in parte l’area attorno al forte Busa Grande, per ovvi motivi turistici (il forte è visitato ogni estate da diverse migliaia di persone), anche se il lavoro deve essere completato del tutto. Per gli altri lotti si inizierà la prossima primavera.
È ovvio però che più passa il tempo e più il legname a terra, che a questo punto avrà già due inverni sulle spalle, perde di qualità e rischia di incorrere in malattie e marciume.
«C’è anche un discorso legato alla sicurezza - conclude il sindaco Anderle - perché in caso di incendi la situazione è davvero a rischio».
Per quanto riguarda i sentieri di montagna, solo alcuni sono ancora interdetti, quelli che cioè attraversano le zone schiantate (a valle di Vetriolo e di malga Montagna Granda).
Miracolata è stata pure la stazione sciistica, che non ha subito gravi danni agli impianti di risalita ed a quelli di innevamento, tranne ad una presa sul rio Rigolor e qualche smottamento sullo skiweg: poco più a monte, in cima alla Panarotta, neppure i ripetitori di metallo hanno resisto al vento, piegandosi come stuzzicadenti.

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