Morì nella cella frigo di Melinda La sentenza assolve tutti

Per il tribunale di Trento non ci sono responsabili per la morte dell’operaio Aldo Boci, trovato senza vita in una cella frigo del consorzio Cfc di Cles gestito da Melinda. Dall’accusa di omicidio colposo sono stati assolti in primo grado il presidente di Melinda, il direttore dello stabilimento, il responsabile del Servizio prevenzione e il datore di lavoro della vittima. L’infortunio mortale accadde nell’ottobre 2013 e ieri, a quasi cinque anni dalla scomparsa dell’uomo, è stata definita la posizione dei quattro imputati.

Sono da poco passate le 17 quando il giudice Guglielmo Avolio legge la sentenza: assoluzione perché il fatto non sussiste, non è stata raggiunta prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Probabile l’appello della procura. Si tratta solo del primo grado di giudizio, ma le difese sono soddisfatte.

Al mattino, alle 11.30, l’udienza conclusiva si è aperta con la replica della pm Maria Colpani, che ha confermato le richieste: condanna per omicidio colposo di tutti e quattro gli imputati che hanno affrontato il dibattimento. Nel dettaglio il pubblico ministero ha chiesto 9 mesi e 2mila euro di ammenda per il presidente di Melinda Michele Odorizzi; un anno e 6mila euro di ammenda per il direttore del magazzino Cfc Franco Gebelin; nove mesi ciascuno al legale rappresentante della Longofrigo Casimiro Longo e al responsabile del Servizio prevenzione (Rspp) Federico Zanasi. Nessuna controreplica da parte delle difese. La sentenza è arrivata nel tardo pomeriggio, ultimo atto prima della sospensione feriale delle udienze, che parte oggi.
Aldo Boci, operaio di 27 anni di origine albanese, dipendente della Longofrigo di Bergamo il 3 ottobre 2013 era arrivato in val di Non assieme ad un collega per un intervento nel magazzino di proprietà del consorzio Cfc di Cles, gestito da Melinda. I due tecnici avevano lavorato tutto il pomeriggio sugli impianti di refrigerazione. I lavori erano ormai conclusi quando Aldo Boci, come ricostruito dai successivi accertamenti, si fermò a sostituire una ventola all’interno di una cella frigo, mentre il collega raggiungeva gli uffici per farsi firmare la documentazione. Poco dopo il giovane operaio albanese venne trovato senza vita all’interno della cella numero 34: si era accasciato all’improvviso mentre si trovava su un carrello elevatore ad alcuni metri dal suolo. Cosa era successo al povero operaio? L’ipotesi era di avvelenamento da azoto.

Sulla base dei risultati dell’autopsia la procura iscrisse nel registro degli indagati il presidente di Melinda Odorizzi, il direttore del magazzino Gebelin, il frigorista di Melinda Alessandro Tavonatti e il legale rappresentante di Longofrigo Casimiro Longo. Ma il numero delle persone chiamate a rispondere della morte dell’operaio si ampliò, coinvolgendo oltre al consorzio Melinda anche il responsabile del Servizio di prevenzione (Rspp) Federico Zanasi.

Melinda e Tavonatti scelsero il rito abbreviato: assolti entrambi in primo grado, la Corte d’appello nell’aprile 2017 ha confermato l’assoluzione del frigorista ma ha condannato Melinda in base alla legge sulla responsabilità amministrativa delle società.
Parallelamente è proseguito il processo di primo grado di fronte al giudice Guglielmo Avolio, a carico di Odorizzi, Gebelin, Longo e Zanasi. «Una mastodontica istruttoria dibattimentale», come hanno evidenziato i difensori degli imputati. Non c’era la parte civile. La famiglia della vittima uscì dal procedimento nel 2015, dopo l’accordo sul risarcimento e la liquidazione della cifra pattuita con le compagnie assicurative, per un totale di 750mila euro.

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