Sacchetti, è l'Italia che ha deciso di farceli pagare

Non è l’Unione Europea che vuole farci pagare i sacchetti per la frutta e la verdura che acquistiamo al supermercato.

II carico  (in media 4 centesimi a sacchetto) messo sulle spalle dei consumatori italiani è frutto di una decisione romana.

Insomma la causa dell’arrabbiatura degli italiani è da ricercare in Italia, non a Bruxelles. Una rabbia data, si dice, dal fatto che la misura è colma e qualsiasi balzello - soprattutto quando tocca un diritto primario come quello di alimentarsi - viene respinto al mittente.

PIÙ COSTI PER I CONSUMATORI: DECISIONE DEL GOVERNO

La decisione di far rientrare i sacchetti bio “leggeri” nel campo di applicazione della normativa Ue del 2015 è stata una scelta autonoma dell’Italia. Questa l’indicazione è stata fornita da un portavoce della Commissione europea: ha ricordato che la norma europea ha dato agli Stati membri la possibilità di escludere dal campo di applicazione della direttiva i sacchetti al di sotto dei 15 micron di spessore, cioè quelli utilizzati per frutta, verdura e altri alimenti freschi finiti al centro della polemica scoppiata in Italia.

INUTILE ETICHETTARE I SINGOLI PRODOTTI

Intanto, mentre si discute sulle ragioni e sui torti di chi si lamenta, nella grande distribiuzione si fa presente che la "rivolta dal basso", attraverso l’etichettatura dei singoli prodotti (un’etichetta sulla singola mela o aranci a da portare alla cassa come protesta civile), rischia di essere controproducente perché un’etichetta vale un sacchetto, quindi si finisce per pagare di più. A darne conferma è il sito de Il Salvagente.

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QUESTIONE RIUSO

Lo stesso portavoce ha poi ribadito che Bruxelles non entra nel merito del riuso dei sacchetti bio poichè si tratta di una questione sanitaria di competenza nazionale.

ECOLOGISTI

«I ministeri dell’Ambiente e della Salute la smettano di lasciare in sospeso i consumatori del nostro Paese con argomentazioni vaghe e pretestuose e di praticare un incomprensibile rimpallo di responsabilità sulla vicenda delle retine riutilizzabili per frutta e verdura. Serve con urgenza una nota ufficiale congiunta dei due dicasteri che autorizzi la grande distribuzione a garantire ai cittadini un’alternativa riutilizzabile alle buste compostabili monouso, così come avviene già in diversi Paesi europei».

Parole, queste, del direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani che comme la circolare interpretativa diffusa dal ministero dell’Ambiente in merito alla norma sui biosacchetti per frutta e verdura.

«Una nota che non fa altro che rimpallare la responsabilità al dicastero della Salute per valutare la conformità alle normative igienico-alimentari dei sacchetti monouso - scrive l’associazione - e che lascia presagire il divieto dell’uso dei sacchetti riutilizzabili per presunti problemi igienico sanitari, come emerso anche dall’intervista rilasciata dal segretario generale del Ministero della Salute Giuseppe Ruocco».

La norma sui nuovi sacchetti bio a pagamento è contenuta in un emendamento inserito nel decreto legge Mezzogiorno. Prevede che si applichi un prezzo alle sportine sotto i 15 micron. La media di buste di questo tipo consumate in Italia è di 200 e dunque il costo annuale di aggirerebbe sui 6 euro.

IN GERMANIA E SVIZZERA C’È IL RICICLO

«Non ci si risulta che in Germania, Svizzera e negli altri paesi europei ci siano mai state epidemie causate dalla contaminazione da sacchetti o retine riutilizzabili nei supermercati - prosegue Ciafani -. E poi i reparti dell’ortofrutta dei supermercati non sono sterili come camere operatorie. L’inevitabile e naturale presenza della terra residua dalle attività agricole ad esempio testimonia che i rischi igienico sanitari paventati sono davvero pretestuosi».

LA RISPOSTA DEI DETTAGLIANTI

«Soltanto chi non ha mai lavorato in un punto vendita può pensare che siano percorribili soluzioni fantascientifiche, come quelle dell’utilizzo di sacchetti portati da casa, con l’obbligo da parte degli esercenti di verificarne l’idoneità; un modo certo per creare contenziosi con i clienti e confusione in caso di eventuali controlli».

A parlare è Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida, la Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio-Imprese per l’Italia e vicepresidente Confcommercio. Prampolini precisa che «la discussione sui sacchetti biodegradabili richiede chiarezza nell’interesse dei consumatori, degli esercenti e anche della pubblica amministrazione, chiamata direttamente in causa».

OFFENSIVA DEL WWF

«A differenza del precedente, il nuovo bioshopper è riutilizzabile come sacchetto per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti domestici. Dunque l’operazione potrebbe rivelarsi vantaggiosa, laddove attualmente molte famiglie pagano i sacchetti per la raccolta dell’umido da 5 a 15 centesimi» scrive il Wwf in un comunicato. «Molto dev’essere fatto dalla Grande Distribuzione, che deve provvedere ad esempio a favorire questo tipo di riutilizzo dei sacchetti dell’ortofrutta, o la creazione di sporte riutilizzabili (come quelle realizzate in passato dal Wwf con partner come Auchan e Simply), prevedendo ad esempio etichettature biodegradabili e compostabili. Utilizzare la gran parte delle etichette attuali sui nuovi bioshopper vuol dire renderli non più utilizzabili per la raccolta dell’umido a livello domestico, anche perché toglierle provoca la lacerazione del sacchetto».

AFFARE COOP: MATERIALI RIUTILIZZABILI

«Coop presenterà a breve soluzioni e materiali di confezionamento della merce fresca e sfusa che siano effettivamente riutilizzabili, a bassissimo costo per i consumatori e di maggior vantaggio per l’ambiente». Lo fa sapere il gigante italiano della distribuzione Coop Italia, che precisa in una nota come «le ultime interpretazioni ministeriali sui sacchetti monouso rendano ancora più complicata la gestione dell’intera situazione».

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