È morto Adriano Rizzoli Lottò contro l'inceneritore

È morto Adriano Rizzoli, «straordinario idealista» come lo definisce Giovanna Giugni, amica e compagna di battaglie civili. «Se oggi Trento è una città migliore, libera dall’inceneritore e ben avviata sulla strada della raccolta differenziata dei rifiuti, è anche merito di Adriano, della sua lungimiranza, della sua passione civile, della sua incredibile caparbietà», sottolinea Simonetta Gabrielli, compagna di digiuni e di  tante battaglie portate avanti per anni, attraverso l’associazione Nimby, contro l’inceneritore a Ischia Podetti.  

Con la morte, a 64 anni, di Adriano Rizzoli Trento perde anche uno spirito critico, una persona sempre impegnata (come dimostrano anche le tante lettere inviate al nostro giornale) nel dibattito sul futuro della comunità.

Rizzoli è sempre stato un precursore: in gioventù fu tra i primissimi in città ad aderire all’obiezione civile invece del servizio militare. Nella sua attività di geometra si orientò, ancora una volta in anticipo sui tempi, verso la bioedilizia.

«Mio padre - ricorda la figlia Anna - era  una persona  che aveva l’esigenza di dare un significato profondo alla sua vita. Ricordo le prime discussioni, fatte ormai tanti anni fa quando avevo 17 anni, sul problema dei rifiuti, sul comportamento responsabile che ognuno di noi dovrebbe avere». [[{"type":"media","view_mode":"media_preview","fid":"1548121","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"180","style":"float: right;","width":"180"}}]]

Erano i germogli di un interesse che poi vide Rizzoli protagonista nella battaglia condotta contro l’inceneritore a Trento. «All’inizio ci denigravano - ricorda Simonetta Gabrielli - ma noi non  abbiamo mai indietreggiato. Il nostro non era solo un no all’inceneritore, era una presa di posizione motivata contro quella che sarebbe diventata una cattedrale nel deserto, per di più inquinante. Credo che la protesta, pur tra mille difficoltà, alla fine ebbe successo perché riuscimmo ad entrare in sintonia con la città, restando sempre equidistanti dai partiti e dai movimenti sociali lontani dalla città reale». Per tenere alta l’attenzione e coinvolgere la città nella battaglia,  Rizzoli (ma anche anche Simonetta Gabrielli) ricorse anche allo sciopero della fame, personale (oltre un mese) e collettivo. «In quegli anni di impegno - ricorda Gabrielli - bruciò, a causa di un corto circuito, lo studio tecnico di Rizzoli: andò quasi tutto  distrutto, tranne il disco rigido che conteneva tutta l’attività di Nimby. Lo prendemmo come un segnale positivo».

La storia è nota: l’inceneritore non fu realizzato. Rizzoli ha continuato comunque ad occuparsi fino all’ultimo di tematiche ambientali: l’acciaieria di Borgo, l’inquinamento acustico in via Lavisotto, l’uso (e abuso) di antiparassitari in agricoltura.

I funerali si terranno domani, alle 14 e 30, a Martignano.

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