Il direttore: «Se avanti così carcere a rischio chiusura»

di Matteo Lunelli

«Andando avanti così, con questi numeri, il carcere di Spini rischia di chiudere». Il direttore Valerio Pappalardo e il comandante della polizia penitenziaria Daniele Cutugno vogliono mettere i punti sulle i dopo le vicende degli ultimi giorni. Anzi, vogliono fare un quadro della situazione, numeri alla mano, «non per una captatio benevolentiae, ma per essere il più oggettivi possibili e sentir pontificare da chi non conosce è insopportabile». 
Partiamo dai numeri a Spini? 
«I detenuti sono 331. Nell'accordo Dellai-Alfano era previsto un numero massimo di 240. Il personale è invece composto da 108 poliziotti, mentre la pianta organica per far funzionare la struttura ne prevederebbe 214. E sono numeri destinati a peggiorare: basti pensare che l'organico nei prossimi 3 anni registrerà trenta pensionamenti». 
C'è una soglia massima sopra la quale si rischia l'implosione? 
«C'è, ed è già stata superata di parecchio e da parecchio tempo». 
Capitolo agenti: sono state rivolte accuse pesanti sul loro operato. Come stanno vivendo questo momento? 
«Arrivo a dire che in questa situazione stanno compiendo sforzi incommensurabili, perfino eroici. Qui non esistono stanze delle torture, non è Auschwitz, non ci sono sadici aguzzini. Qui lavorano persone perbene: negli ultimi tre anni undici persone sono state salvate dal suicidio dal coraggio dei colleghi. Tre in particolare riceveranno un encomio speciale per il loro operato. Poi si fanno quasi 90 ore di straordinario al giorno, 2.700 al mese, che verranno pagati, forse, tra mesi. I riposi settimanali saltano, ci sono poliziotti che non staccano per ventuno giorni consecutivi e in questi casi ci si trova in una situazione di demotivazione, con stress e fatica che prendono il posto di senso del dovere. C'è stata un'ispezione a fine luglio e non è stato rilevato nulla
Il suicidio dei giorni scorsi ha suscitato molto scalpore.
«La tragedia di quel ragazzo la viviamo come una sconfitta. Il collega del turno di notte, da solo con decine e decine di detenuti, l'ha salutato nel primo giro nel blocco. Poi è ripassato e l'ha visto: ha praticato la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco, ma non c'è stato nulla da fare. A quel punto subentrano sconforto e paura, e parte il processo di delegittimazione, attraverso gli anarchici o una sbagliata interpretazione degli articoli sul giornale.

Ma tornando a quel ragazzo, la verità è che non doveva essere portato in carcere».
Dai poliziotti ai detenuti.
«Ad oggi circa il 75% sono extracomunitari. L'ultimo dato, da luglio 2015 a giugno 2016, parlava di un 67%, ma ora sono aumentati. Vengono da Tunisia (53), Marocco (37), Romania (27), Albania (20) e poi Nigeria, Serbia, Algeria, Gambia. Spesso si tratta di ragazzi con problemi psichici, dovuti a un passato di dipendenza da sostanze stupefacenti, che hanno usi, costumi e lingua diversi dalla nostra, quindi è più complicato rapportarsi». 
Le cause principali di detenzione? 
«Spaccio. Poi rapina e furto». 
A fronte di questo, quali soluzioni? 
«È evidente che l'accordo fatto va rivisto. Lo Stato, o anche la Provincia, devono intervenire, altrimenti aumentano i rischi di evasione, di suicidio e aumenta lo stress di poliziotti e detenuti».

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