A 55 anni dalla condanna via il porto d'armi uso caccia

Ma il Tar accoglie il ricorso

Nel 1960, appena 18enne, fu sorpreso «in attitudine di caccia». Il giovane era stato pizzicato con il fucile, ma sprovvisto di licenza di porto d'armi. Una ragazzata costata all'aspirante cacciatore una condanna a 5 giorni di arresto più 3.200 lire di ammenda. Il giovane mai avrebbe immaginato che 56 anni dopo quella condanna rischiasse di fargli appendere per sempre la doppietta al chiodo. Il precedente penale, pur remoto e di scarso rilievo, per la Questura di Trento impediva il rinnovo della licenza di porto d'armi ad uso venatorio. E così il 26 febbraio scorso il cacciatore si era visto respingere la domanda di rinnovo del porto d'armi che pure era stato concesso per decenni. Una decisione annullata dal Tar che, con una nuova sentenza in una materia dalla giurisprudenza altalenante, ha accolto le ragioni del cacciatore, difeso dall'avvocato Sara De Luca.

Il caso, che arriva dopo numerosi altri procedimenti analoghi di «respingimento della domanda» ad opera della Questura per condanne "ostative", segna un record perché in questo caso la pena a cui si fa riferimento risale ad oltre mezzo secolo fa. Ma accanto a questa particolarità, c'è anche una novità importante: il Tar sottolinea, citando l'ultimissima giurisprudenza del Consiglio di Stato, come la valutazione non debba essere di diniego automatico a fronte di una condanna ostativa, ma si deve valutare se l'imputato avrebbe potuto beneficiare della conversione in pena pecuniaria. 

In questo caso i giudici nell'accogliere il ricorso hanno tenuto conto della particolare tenuità del fatto. La sentenza penale "ostativa" era stata pronunciata dal pretore di Pergine il 24 febbraio 1961. «L'odierno ricorrente - si legge in sentenza - era stato sorpreso, nell'anno 1960, appena compiuto il diciottesimo anno di età, "in attitudine di caccia", recando con sé un fucile di caccia e sprovvisto della licenza di porto d'armi, e per tale fatto condannato, per la contravvenzione prevista dall'art. 699 c.p., alla pena di cinque giorni d'arresto, a fronte di una pena edittale detentiva all'epoca stabilita, per tale reato, "fino a sei mesi", ottenendo altresì il beneficio della non menzione».

All'epoca non era possibile la sostituzione della pena detentiva in pecuniaria, ma certamente l'allora giovane cacciatore era ampiamente entro il limite previsto dalla norma introdotta nel 1981. «Per quel che riguarda le modalità della condotta e l'entità del danno - sottolineano i giudici - esse appaiono oggettivamente circoscritte a profili di particolare tenuità, dovendosi altresì considerare, sotto un aspetto soggettivo, la giovane età dell'autore e la non abitualità del comportamento sanzionato». Dunque in questo caso secondo il Tar «il diniego al rinnovo della licenza di porto d'armi non poteva essere disposto semplicemente in relazione alla natura "ostativa" del risalente reato per il quale il ricorrente aveva riportato la condanna, dovendosi invece ritenere l'autorità di pubblica sicurezza gravata dall'onere di considerare e valutare anche tutte le circostanze che hanno connotato la fattispecie».

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