I partiti fanno alzare il sopracciglio a Draghi

di Alberto Faustini

C'è sempre chi teme che l'avvento di un governo tecnico finisca per travolgere i partiti. Persino per renderli inutili agli occhi di qualcuno. C'è invece chi auspica che i partiti approfittino di situazioni anomale, come quella che s'è creata in Italia, per cercare nuove vie, per compattarsi, magari per dar vita a nuove aggregazioni. Perché dei partiti e della politica ci sarà sempre bisogno. Con l'avvento di Draghi s'è però prima frantumato il Movimento 5stelle e poi è riuscito a lacerarsi persino il già lacerato Pd.

Le questioni legate alle poltrone, anche quando sono ammantate da richiami a origini e programmi, superano qualsiasi nobile ragione. In tal senso, stupisce che Zingaretti si stupisca. Anche se il segretario del Pd se n'è andato spontaneamente prima che qualcuno l'invitasse a farlo "spintaneamente".

I "normali" cittadini, comunque, non capiscono. I continui mal di pancia grillini e un Pd che cambia leader ad ogni stagione non fanno esattamente pensare a tranquille forze di governo. Può essere che persino Draghi, di fronte a tanto sconquasso, abbia alzato un sopracciglio. Che al momento sarebbe la sua più alta forma di comunicazione: va infatti detto che, pur distinguendosi dalla vena logorroica che ha colpito chi l'ha preceduto, un modo per parlare al Paese lo dovrà trovare. Siamo felici di saperlo impegnato a risolvere tutti i nostri problemi e colpisce anche il piglio col quale ha bloccato l'esportazione dei vaccini. Ma la democrazia ha anche bisogno di dialogo, di voci, di confronto.

In quanto al Pd, basta leggere la lista dei nomi dei leader (o dei "reggenti") degli ultimi 13 anni: Walter Veltroni, Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Matteo Renzi (con in mezzo una reggenza di Matteo Orfini), Maurizio Martina e Nicola Zingaretti. Manco fossero i capi (d'abbigliamento) che Amadeus continua a cambiare a Sanremo, per ragioni peraltro non meno oscure di quelle che spingono il Pd a cambiare continuamente capo. Siamo di fronte a qualcosa di più grave di un mal di pancia.

Un tempo i partiti erano grandi camere di compensazione: si mediava all'interno e si usciva all'esterno con un un'unica linea condivisa. Nel mondo rovesciato di oggi non c'è invece decisione presa apparentemente all'unanimità che non crolli dopo due minuti di fronte a bombardamenti di parole in libertà. Manca il collante per tenere insieme un Paese smarrito.Di fronte a una pandemia che sta strozzando tutti, di fronte a cinque milioni e 600 mila italiani che l'Istat definisce poveri assoluti (nel 2019 erano un milione in meno), di fronte al crollo dei consumi, di fronte a una morte che è diventata quotidiana compagna di viaggio di ognuno di noi, di fronte a una fragilità diffusa, serve compattezza, serve unità d'intenti, serve la capacità di mettere le proprie ragioni dieci passi dietro le ragioni collettive. Invece si finisce per guardare sempre ai soliti orticelli.

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